Dopo aver detto queste cose, sputò in terra, con la saliva fece del fango e ne impiastrò gli occhi del cieco. Poi gli disse: «Va', lavati nella piscina di Siloe» (che significa: "Mandato"); egli dunque vi andò, si lavò e ritornò che ci vedeva.
Giovanni 9:6-7
Una ragazza cieca ce l’aveva con se stessa perché non vedente. Odiava tutti, tranne il suo dolce fidanzato, sempre lì con lei. Una volta gli disse: “Se potessi vedere il mondo, ti sposerei”. Un giorno, qualcuno le donò un paio di occhi. Quando le tolsero le bende e fu in grado di vedere ogni cosa, compreso il fidanzato, lui le chiese: “Amore, ora che puoi vedere il mondo, vuoi sposarmi?”. La ragazza lo fissò e notò che era cieco. Scioccata nel vederlo con le palpebre chiuse, trattenne il fiato, pensò a lungo e rifiutò l’invito, poi abbandonò il suo fidanzato. Alcuni giorni dopo, le fu recapitato un messaggio: “Prenditi cura dei tuoi occhi, mia amata, perché prima di essere tuoi, erano miei. Il tuo ex fidanzato”. Purtroppo funziona così il nostro cervello quando mutano le condizioni in cui viviamo. Siamo disposti a poggiarci a chi ci offre la spalla nel momento del bisogno, e poi quando la situazione si inverte, ci ritiriamo dalla scena. Solo pochissimi ricordano com’era la vita prima e chi era sempre al loro fianco nelle situazioni più dolorose. Accade lo stesso con chi cerca di aprirci gli occhi e farci vedere la realtà sotto una luce nuova, ma anche con chi la pensa diversamente da noi.
Quando Gesù dona la vista al cieco nato, le reazioni sono diverse, e nessuno gioisce di quanto accaduto. Anzi i farisei si adoperano per dimostrare che quanto è avvenuto non è accaduto. E non avendo come fare, alcuni ricorrono a ragionamenti assurdi, per non dire meschini e ipocriti. Siccome ha operato la guarigione di sabato, quando è proibito lavorare, allora non può aver fatto il miracolo. Altri avviano una specie di indagine investigativa, andando a scovare i genitori del cieco. Che tristezza. Non riuscendo a tollerare ciò che Gesù faceva e non volendo vedere Dio in Lui, i farisei si chiudono in se stessi. Allo stesso modo oggi alcuni si ostinano e si ritraggono a riccio, quando la luce apre loro gli occhi, e pur di non ammetterlo preferiscono negare o infangare. Infatti il cieco (ex) viene ricoperto da insulti e aggredito quasi: «Tu sei nato completamente nei peccati e vuoi insegnare a noi?» (Giovanni 9:34). Non hanno per lui alcun rispetto, ma morbosamente indagano e pretestuosamente condannano pur di non ammettere la verità. Come non c’è più sordo di chi non vuol sentire, non c’è più cieco di chi non vuol vedere.
Piuttosto che usare il fango della menzogna o estrosi artifici manipolatori per far prevalere le nostre posizioni, dovremmo lasciarci impiastrare gli occhi dal Signore, permettergli di applicarci quel fango che nelle sue mani diventa un incomparabile collirio. Prima di allora non avremo uno sguardo puro, capace di guardare l’altro alla pari. Come i credenti di Laodicea si corre il rischio di ammantarsi di una religiosità apparente, che tutto giudica e tutti condanna, quando invece nella realtà si è “disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo” (Apocalisse 3:17). Infatti, questo tipo di cecità ha un’influenza immediata anche nei rapporti con i nostri simili. Il fariseo che credendosi luce non permette a Dio di aprirgli gli occhi è lo stesso che tratta con superbia e ingiustamente il suo prossimo; basta ricordare del fariseo e del pubblicano al tempio (Luca 18:11). Sono consapevole di quanto sia difficile spogliarsi del proprio apparire, del perfetto e rigido abito indossato come il fratello maggiore nel dipinto del figliol prodigo di Rembrandt (utilizzato per il mio libro “Un padre e due figli”), ma siamo sfidati a non restare a braccia conserte.
Anche i discepoli, prima del miracolo, avevano guardato a questo povero uomo con occhi giudicanti e discriminatori. L’amore o ce l’hai o lo devi ricercare. Non si può avere in dose minima o scarsa misura. E il cristiano dovrebbe farne la sua vocazione, altrimenti resta “un bronzo risonante o uno squillante cembalo”. L’amore (carità, agape) non è soltanto un buon sentimento verso il prossimo, ma, se procede da Dio, trasforma l’intelligenza e la volontà, cambia il modo di pensare e agire. Qualche settimana fa riflettevo su Caino e Abele e l’essere fratelli e concludevo che abbiamo ancora molto da lavorare per uscire dalle pagine del Genesi. Tanto più per immettere nei nostri geni che “l’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia, non si mette in mostra, non si gonfia, non si comporta in modo indecoroso, non cerca le cose proprie, non si irrita, non sospetta il male; non si rallegra dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità, tollera ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1Corinzi 13:4-7). Sarò folle, ma resto un aspirante cristiano, e per questo mi ostino a vivere seguendo la pazzia di Cristo. Spero di essere esempio per qualcuno e pietra di inciampo per quelli più propensi al fariseismo. Sei disposto ad andare alla piscina e a lavarti gli occhi?
Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 06
01 febbraio Esodo 27-28; Mat. 21:1-22
02 febbraio Esodo 29-30; Mat. 21:23-46
03 febbraio Esodo 31-33; Mat. 22:1-22
04 febbraio Esodo 34-35; Mat. 22:23-46
05 febbraio Esodo 36-38; Mat. 23:1-22
06 febbraio Esodo 39-40; Mat. 23:23-39
07 febbraio Levitico 1-3; Mat. 24:1-28
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Foto di Sandy Yin, www.freeimages.com
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