Pietro e quelli che erano con lui erano oppressi dal sonno; e, quando si furono svegliati, videro la sua gloria e i due uomini che erano con lui.
Luca 9:32
Il racconto della trasfigurazione offertoci da Luca segue di “circa otto giorni” la promessa del Cristo che alcuni non sarebbero morti senza vedere il regno di Dio. Solo tre discepoli, Pietro, Giovanni e Giacomo furono condotti da Gesù quel giorno a pregare. Fu lì che avvenne qualcosa di umanamente inspiegabile, “l’aspetto del suo volto fu mutato e la sua veste divenne di un candore sfolgorante”, la trasfigurazione e la contemplazione della Sua gloria. Videro apparire e parlare con Lui Mosè e Elia, pilastri dell’Antico Testamento. Il primo rappresenta la Legge, Elia i profeti. Gesù è venuto per essere il compimento delle Scritture, è venuto a mostrare l’opera di Dio all’umanità, la quale fondava tutta l’attesa sulla legge di Mosè e sui profeti. Il fine ultimo delle Scritture è sempre l’annuncio di Cristo, affinché Egli sia glorificato. Chiunque Lo conosce e riconosce entrerà nel regno di Dio, divenendo parte del Suo disegno. L’esperienza dei tre discepoli è scoperta di Dio. Sul monte i tre conobbero che Gesù è il Figlio di Dio, sperimentarono qualcosa che non poteva essere raccontato a parole e da cui non volevano staccarsi. Eppure erano stati condotti lì per pregare, ma si erano addormentati. La preghiera è spesso considerata un inutile ripiego. Tanti non credono al suo potenziale. Considerano “Io prego per te” un gentile allontanamento dal loro problema. Una sincera attitudine alla preghiera invece non è una fuga, ma ricerca dell’aiuto divino. Lo stesso Gesù si ritirava in preghiera ogni giorno per ricercare il Padre. E noi siamo chiamati a riguardare a Lui per cercare il Suo sostegno. Fu una fuga la richiesta di Pietro di non scendere dal monte, espressione della nostra natura egoista, interessata solo a se stessa. Dinanzi a quella visione, tutto il resto passa in secondo piano al punto di voler costruire tre tabernacoli, pur di restare lì. Luca sottolinea che Pietro non sapeva quello che diceva (v. 33).
La trasfigurazione ci induce ad aprire gli occhi sul modo di relazionarci con Dio. Dobbiamo annullare “per noi”, come proposto da Pietro. Il Signore ci chiama affinché possiamo dire e fare “per gli altri”, per quelli lontani dal monte e che non hanno ancora visto ciò che i nostri occhi hanno visto. Il Cristo non risponde a Pietro. Alcune volte Gesù non risponde alle nostre domande, probabilmente è meglio che non lo faccia. La scena accoglie un secondo evento: una nuvola li avvolge. Ciò richiama l’esperienza del tabernacolo di Mosè quando veniva circondato da una nuvola, la shekkhinah, ovvero la gloria di Dio. Quando ci isoliamo dalla mondanità per metterci ai Suoi piedi, con il desiderio di rimanerci per sempre, può accadere che il Signore si presenta con la Sua gloria e ci avvolge con la Sua presenza. La reazione può essere allora paura, come avvenne per i tre. Molti hanno paura di aver paura. Credo invece che la paura aiuti a vivere meglio, ci ricorda i nostri limiti, chiamandoci alla prudenza. Questa paura ricorda che non conosciamo tutto e che ci spaventano le cose che non conosciamo: la malattia, dover attraversare la valle dell’ombra della morte, affrontare le difficoltà quando viene meno il lavoro. Mentre erano in preda al timore, una voce li rassicura: “Questi è il mio amato Figlio; ascoltatelo” (Luca 9:35). Nella confusione, nelle paure la Scrittura diviene la bussola per non perdere la retta via. Quando stiamo perdendo la cognizione della realtà, ascoltiamo la Sua voce attraverso la parola.
Infine, dal monte si scende sempre! Gesù è sceso continuando il suo ministero, perché giù dal monte vi è un’altra esperienza da fare, vedere Cristo glorificato in ogni fratello e sorella. Quando riusciamo a guardare il prossimo e vedere nei suoi occhi Cristo, vorrà dire che siamo stati sul monte ed abbiamo compreso che Gesù dimora nell’altro. Più volte il Vangelo ci ricorda che fare qualcosa a chi è nel bisogno, ad uno dei “minimi” sarà come farla al e per il Signore: servire Dio equivale a servire gli altri. Se il ministero si manifesta nella cura dell’altro ogni credente imparerà a guardare con amore, tolleranza, rispetto e carità, poiché è nell’altro che dimora il Signore. Gesù sintetizzò i comandamenti in: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Matteo 12:28, 31). Se questo sarà il nostro cristianesimo, non solo entreremo nella gloria di Dio, ma vivremo con un sorriso ed una speranza in più, la gioia nel fare agli altri quello che vorremmo ricevere noi. Tale gioia sarà profumo della speranza della gloria di Dio, sarà lo shekhinah, che ci avvolge e non ci mette paura perché il Signore è con noi e rimane con noi.
Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 19
02 maggio 1Re 12-13; Luca 22:1-30
03 maggio 1Re 14-15; Luca 22:31-46
04 maggio 1Re 16-18; Luca 22:47-71
05 maggio 1Re 19-20; Luca 23:1-25
06 maggio 1Re 21-22; Luca 23:26-56
07 maggio 2Re 1-3; Luca 24:1-35
08 maggio 2Re 4-6; Luca 24:36-53
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