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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Cicale distratte e formiche laboriose

«Tu parli come parlerebbe una donna insensata. Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?». In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.

Giobbe 2:10

Conosci la storia della cicala e della formica? Mi è tornata alla memoria, provando a riflettere sulla settimana che si è appena conclusa. Mentre il nostro paese è “cicalizzato” dalla più antica manifestazione canora, sollevando il consueto polverone di critiche e commenti di fagocita show e televisione, da un’altra parte del mondo un esercito di formiche laboriose sposta cumuli di macerie nell’eco tormentato dei dubbi di chi agghiacciato non ha musica nel cuore. Infatti, ogni volta che una catastrofe naturale si scatena arriva anche un bel carico di dubbi, davanti al dramma delle vittime innocenti. Così si fa tremendamente fatica a credere nella bontà di un Dio onnipotente e misericordioso che resta a guardare così a immani tragedie.


L’ultima in ordine cronologica è quella del terremoto che ha devastato parte della Turchia e della Siria nella notte tra domenica e lunedì scorso, un’apocalisse paragonata a cento volte l’atomica si è abbattuta sul sonno di migliaia di persone, che già affrontavano un’esistenza di stenti. Questa volta ha colpito un’ampia regione che potremmo definire la culla della cristianità. Si tratta dei luoghi della predicazione di Paolo di Tarso (Tarso è una delle città colpite) e dove la parola “cristiani” comparve per la prima volta. Rasa al suolo la città di Antiochia, dove si riunivano i primi cristiani. Anche la sinagoga non esiste più, e i rotoli contenenti le Scritture sono andati in fiamme, con i loro 2500 anni di storia. Il terribile bilancio delle vittime non cessa di salire, e personalmente penso non avremo mai i dati definitivi. Se ora l’emergenza è salvare i sopravvissuti, si tratta di eventi che vanno fuori dal nostro controllo.


Tanto, troppo strazio in Turchia, e in Siria, già massacrata dalla guerra, per riuscire a tenere gli occhi sulle immagini. Ho fatto, e faccio ancora, grande fatica a guardare i servizi televisivi che mostrano l’accartocciarsi di enormi grattacieli, ridotti a un cumulo di macerie sotto ai quali morti, feriti e qualche illeso. Un insostenibile dolore considerare che quella creazione, tanto esaltata nel Genesi, diventa improvvisamente crudele spargendo morte e mietendo innocenti. Se quando Dio chiamò all’esistenza tutto era buono, con l’arrivo del peccato purtroppo l’armonia fra l’uomo e la natura si è rotta. Tutti sappiamo che il pianeta che abitiamo è vivo e si muove non solo nello spazio, ma anche nel suo ventre. Le placche che formano i continenti si muovono e a volte si scontrano generando terremoti. Non si sa quando, ma accade senza che noi possiamo fare nulla per impedirlo. Potremmo, però, limitare i danni correggendo parte dei nostri comportamenti e delle nostre penose abitudini di violentare i territori con la cultura della speculazione edilizia e di una sfrenata urbanizzazione.


Le tragiche vicende affrontato da un uomo timorato di Dio quale Giobbe ci offrono una lettura di fede di quanto accade nelle nostre esistenze. Al cospetto di un uomo seduto tra la cenere e ridotto dalla malattia a grattarsi con un coccio, la moglie di Giobbe non esita a tirargli addossa la verità del momento e a dirgli: «Rimani ancora fermo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!» (v. 9). Si tratta della reazione giustificabile di chi non ha occhi per Dio. Se stai cercando di capire, smettila! Non c’è risposta a tanta sofferenza. E Giobbe lo sa e replica alla moglie: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?” Se proprio vogliamo tributare al Creatore il male di cui siamo vittime, chi siamo noi per sindacare o opinare sul suo agire. In fondo a Paolo ricordava: “La mia grazia ti basta”. L’esempio di Giobbe ci assicurò che il suo folle comportamento fu gradito dato che “non peccò”. Personalmente ho soltanto questa speranza, che oggi vediamo confusamente, come in uno specchio, ma un giorno vedremo “faccia a faccia”. Dovremmo nei giorni faticosi seguire l’esempio delle formiche, che non si smarriscono né si perdono d’animo, ma insieme si adoperano per bene e la sopravvivenza del formicaio.


Vicini a chi si sta adoperando contro il tempo, aggrappandosi ad una flebile speranza, dal cuore affranto il pensiero corre a chi ha perso uno o più cari, a chi è rimasto solo, a quelli che si ritroveranno orfani, a chi ha perduto tutto perché ciò che aveva costruito è diventato cenere. E il pensiero non basta. Raccolgo e condivido, tra gli altri, l’invito rivolto dalla Fcei (Federazione delle chiese evangeliche in Italia) affinché nel culto di oggi si dedichi “un momento specifico al ricordo delle vittime e alla preghiera perché il Signore aiuti individui e popoli provati da una così grande tragedia a trovare le risorse materiali e le energie fisiche e spirituali per portare soccorso e, nel tempo, avviare un processo di ricostruzione il cui esito dipende anche dal nostro impegno e dalla nostra generosità”. Mentre “noi sappiamo che fino ad ora tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio” (Romani 8:22), di fronte allo strazio di questa parte del mondo possiamo farci partecipi e aiutare in qualche modo, fosse solo con la preghiera: anche se non capiamo il perché di tanto dolore, sappiamo che Lui è l’unico, vero Consolatore.



 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 08

13 febbraio Levitico 14; Matteo 26:51-75

14 febbraio Levitico 15-16; Matteo 27:1-26

15 febbraio Levitico 17-18; Matteo 27:27-50

16 febbraio Levitico 19-20; Matteo 27:51-66

17 febbraio Levitico 21-22; Matteo 28

18 febbraio Levitico 23-24; Marco 1:1-22

19 febbraio Levitico 25; Marco 1:23-45



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