Poiché così dice l’Eterno degli eserciti, il Dio d’Israele: “In questo paese si compreranno ancora case, campi e vigne”.
Geremia 32:15
Siamo al tempo dell’assedio dei babilonesi e dell’imminente conquista e distruzione di Gerusalemme (l’anno 587), con Geremia prigioniero del re Sedekia accusato appunto di profetizzare contro il paese, l’occupazione da parte del re di Babilonia (Geremia 32:3). Si stanno avverando le sue profezie, negate dai falsi profeti, dai capi del popolo e dai sacerdoti. In un contesto di disperazione, ci imbattiamo in un episodio profetico, l’acquisto di un campo da parte proprio di Geremia. Suo cugino gli ha offerto il diritto di prelazione su un terreno in Anathoth, il paese natale del profeta, non distante da Gerusalemme, e lui lo compra riconoscendo il volere divino (32:8) per diciassette sicli d’argento. Si tratta di un gesto profetico, nei cui dettagli si nascondono parole importanti. Geremia sottoscrive il contratto in duplice copia, sigillandone una. L’altra è arrotolata per poter essere consultata, chiama i testimoni, pesa l’argento sulla bilancia. Vuole essere sicuro che tutti capiscano che ha stipulato un contratto vero, che ha comprato davvero quel campo, in presenza dei testimoni, rendendo gesti e oggetti appartenenti al repertorio dei tecnici del settore segni solenni della profezia.
Il tutto è custodito in un’anfora, affinché sia custodito a lungo (32:13-14), così bene da arrivare fino a noi, con il messaggio del verso in esame, che annuncia che nonostante tutto, seppur esiliati e deportati, c’è e ci sarà un futuro: “si compreranno case, campi e vigne” (v. 15). Siamo di fronte a un canto alla vita. Oramai i campi e le vigne non valgono più nulla. Nessuno sarebbe così sprovveduto da comprare un campo proprio ora. Se qualcuno avesse potuto acquistare, doveva essere parte dei falsi profeti, certi che sarebbero scampati all’assedio. Geremia era l’unico che a non dover comprare un campo, ed invece lo fa con la cura di chi è convinto di aver fatto un affare. Com’è possibile? Ciò che lo anima sono le parole dell’Eterno, la promessa di Dio riguardo alla terra promessa. La distruzione di Gerusalemme non può distruggere la parola che l’aveva fondata, semplicemente perché c’è un profeta che continua a pronunciarla e a crederla. L’acquisto di quel campo equivale a riscattare il futuro, è un pegno del ritorno certo a casa.
Geremia si erge ad esempio per noi, per chi si trova di fronte a una “devastazione” che parla di fine e di morte, ma sente una voce che rassicura che torneremo a vivere, ad amare, a lavorare, perché quanto sta accadendo non sarà l’ultima parola. E lo fa compiendo un gesto concreto come Lutero che dichiarava: “Anche se sapessi che la fine del mondo è domani, io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele”. Che senso ha piantare un melo quando il mondo ribolle e non si intravede più futuro all’orizzonte? Ha senso, perché un piccolo e semplice gesto può diventare profetico, mobilitare energie impensabili, indurre altri all’azione. Questa citazione attribuita al riformatore tedesco accompagna il mio profilo, animando la mia passione e delineando il mio agire, al pari di Geremia, nel cui cuore c’è “come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso” (Geremia 20:9). Ritengo importante non lasciarsi condizionare da quanto accade fuori e attorno, se dentro noi lasciamo ardere lo stesso fuoco di Geremia e ci muoviamo mossi dalla parola dell’Eterno. Comprare un campo e piantare un albero vuol dire che la vita continuerà, che siamo in grado di guardare a chi verrà dopo di noi, che il creato è pieno di piante annaffiate da chi vuole continuare a credere, nonostante tutto.
Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 51
11 dicembre Osea 5-8; Apocalisse 2
12 dicembre Osea 9-11; Apocalisse 3
13 dicembre Osea 12-14; Apocalisse 4
14 dicembre Gioele; Apocalisse 5
15 dicembre Amos 1-3; Apocalisse 6
16 dicembre Amos 4-6; Apocalisse 7
17 dicembre Amos 7-9; Apocalisse 8
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