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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Comprendere quando fermarci

Aggiornamento: 10 apr

Partiamo, andiamo a Betel; là farò un altare al Dio che mi esaudì nel giorno della mia angoscia e che è stato con me nel viaggio che ho fatto.

Genesi 35:2-3



La vita del patriarca Giacobbe è fonte di ispirazione per la nostra quotidianità, paradigmatica delle difficoltà e delle battaglie che appartengono a tutti. Sin dalla nascita ha lottato per prevalere sul fratello, segnato da quel nome che porta e vuol dire “soppiantatore”. Un’identità ben definita, quando si dice una vita nel nome. Così da adulto prima prenderà la benedizione del primogenito inducendo il padre in errore. Al servizio dello zio Labano, dopo oltre quattordici anni di lavoro e servizio, troverà il modo per rifarsi di tutti i torti patiti. Non è solo concentrato di astuzia e caparbietà. Sulla sua vita c’è la mano invisibile di Dio che lo spinge e sospinge nel viaggio della vita. Così quando finalmente fa ritorno a casa e fa i conti con il passato, riappacificandosi con il fratello, è sospinto a Betel, il posto dove incontrò Dio quando fuggiva dal fratello. Il primo incontro con l’Eterno è in un momento difficile. Anche Mosè conobbe JHWH dopo una fuga. Betel significa appunto “casa di Dio”, ad indicare il posto di un incontro memorabile. Qui Giacobbe conduce tutta la famiglia per un atto di purificazione dopo i fatti tragici di Sichem, narrati nel capitolo 34 di Genesi. Quando tutto appare crollato e distrutto irrimediabilmente, giunge invece un nuovo inizio, rappresentato proprio dalla rimozione degli idoli, dalla purificazione e dal cambiamento dei vestiti. Dio ci spinge alla Sua presenza affinché noi troviamo le forze e gli stimoli per un nuovo viaggio.


Qui al patriarca è ricordato quanto ascoltato già nella notte precedente l’incontro con Esaù, ossia che ora ha un nuovo nome: Israele. Il nostro essere, le nostre debolezze, i nostri limiti non condizionano Dio, capace di scorgere in noi quel che nessuno riesce a vedere, incluso noi. Giacobbe e Israele sono la stessa persona, una realtà che si alterna nei nostri giorni, percepita a secondo delle azioni. La nostra esistenza è un avvicendarsi continuo di quello che siamo e di quello che possiamo o dovremmo essere. Le nostre scelte quotidiane possono così risentire della nostra condizione terrena e della dimensione spirituale. Sta a noi decidere quale far prevalere. Il dramma vero però si nasconde nell’incapacità di comprendere quando fermarci. Giacobbe non resta a Betel, qualcosa lo spinge al movimento, al viaggio perenne, e decide di raggiungere Efrata, ossia Betlemme (che significa “la casa del pane”). Questo luogo potrebbe rappresentare il nostro continuo voler fare, avere, raggiungere: lavoro, successo, miglioramenti. La ricerca spasmodica di quel quid che ci manca e che vogliamo raggiungere ad ogni costo. Ecco che mancava un po' di strada quando… Giacobbe non aveva tenuto conto che la moglie è al termine della gravidanza, a rischio di partorire. Quel di più che vogliamo ad ogni costo può essere quella goccia che fa traboccare il vaso, quel poco che fa tendere oltre il possibile la corda.


Quando siamo presi da noi stessi, non ci accorgiamo del potenziale dramma accanto a noi, non discerniamo le difficoltà di chi ci appartiene e che stiamo trascinando oltre il necessario. Rachele partorisce lungo il tragitto; avverte la sofferenza e percepisce che non ce la farà, così riversa su quel bambino il proprio dolore chiamandolo Ben Oni (figlio del dolore). Questo bambino può rappresentare la sofferenza che improvvisa ci piomba addosso. Infatti, Giacobbe è costretto a fermarsi, a rinunciare alla sua corsa verso Betlemme, a seppellire la persona più cara che aveva. Con i suoi limiti, guarda quella creatura è lo chiama diversamente, Beniamino, figlio della mia destra, figlio della forza. Nel momento del lutto, se vi è un briciolo di fede, viene fuori la forza dell’Eterno, perché è nella debolezza che si manifesta la forza, nella miseria che si palesa la ricchezza di Dio. Una stele è posta a ricordo della tomba di Rachele. Ciò che ci reca dolore non può essere dimenticato. Oltre ogni nostra comprensione, Dio è colui che muta il lutto in gioia. Proprio come accadde quel giorno, quando nel giardino del sepolcro il Risorto chiese alla Maddalena in lutto per la morte del Maestro: “Perché piangi?” (Giovanni 21:15). La morte di Gesù non era una punto d’arrivo, ma l’inizio di una nuova storia, la mia, la tua. Con la resurrezione si manifestava pienamente la grazia divina che “ha prodotto in luce la vita e l'immortalità mediante l'Evangelo” (2Timoteo 1:9-11). Facciamone stima.



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Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 17

18 aprile 2Samuele 3-5; Luca 14:25-35

19 aprile 2Samuele 6-8; Luca 15:1-10

20 aprile 2Samuele 9-11; Luca 15:11-32

21 aprile 2Samuele 12-13; Luca 16

22 aprile 2Samuele 14-15; Luca 17:1-19

23 aprile 2Samuele 16-18; Luca 17:20-37

24 aprile 2Samuele 19-20; Luca 18:1-23

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