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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Fuoco sacro e mutande di lino

La Legge in quanto “ombra dei futuri beni” (Ebrei 10:1) ha il potere di svelare le cose presenti a chi ad essa si approssima in cerca di rivelazione. Il testo del Levitico (cap. 6) descrive il rito dell’olocausto e offre un particolare del vestiario sacerdotale su cui desidero dirigere l’attenzione. L’altare dei sacrifici doveva restare sempre acceso, ossia il suo fuoco mai spegnersi per dirci che, se la nostra lode deve essere levata del continuo, Dio è sempre pronto e disponibile ad accoglierci, indifferentemente dalle nostre possibilità. La presentazione dei sacrifici era però affidata ai sacerdoti. Così oggi seppur possiamo rivolgerci a Dio in ogni luogo e momento, in quanto comunità di credenti ci riferiamo a coloro che sono preposti al ministero secondo le indicazioni paoline (Efesi 4:11-16).

Nelle mansioni al tabernacolo, ogni mattina il sacerdote raccoglieva la cenere, ovvero ciò che rimaneva del sacrificio, indossando una tunica e delle mutande di lino. Quando si recava all’altare inevitabilmente sporcava le sue vesti di cenere. Il Signore sa che quando arriviamo a Lui la nostra veste non è pulita, però comprende e ci fa intendere che prima di uscire dal tabernacolo, per portare la cenere raccolta, che altro non è se non la predicazione della parola e la Sua presenza, è necessario cambiare il vestito. Bisogna portare fuori il vangelo in maniera degna, non è possibile farlo in maniera disonorevole. Per avvicinarsi alla presenza di Dio è necessario indossare abiti che mostrano purezza e garantiscono per chi si affida alle cure del ministero. Sin dall’epoca dei faraoni e, come nel caso di Giuseppe, è segno di lignaggio e potere (Genesi 41:41-42). I pregi del lino: il candore del bianco e la sua leggerezza e resistenza al contempo, caratteristiche queste ultime importanti per il servizio sacerdotale (Ezechiele 44:17). A differenza della lana, il candore del bianco del lino è naturale, e allude alla purità, alla luce e alla gloria. Inoltre il lino viene dal mondo vegetale, non è il risultato della tosatura, considerata violenta.

Nella Bibbia compaiono due termini ebraici per «lino». Il primo è shesh, cioè «lino fino», composto dalla lettera sh (shin) ripetuta due volte. Graficamente questa lettera assomiglia al petalo del lino, mentre simbolicamente evoca la parola Shad-day «Onnipotente». Questo grafema è inciso sui «filatteri» che gli ebrei portano durante la preghiera sulla parte alta della fronte e intorno al braccio sinistro. Il modo di legarli e avvolgerli sul dorso della mano e la stessa scatolina di pelle nera sulla fronte, riproducono tale parola. Indossando i filatteri, ossia la shin, è come se l’ebreo volesse avvolgersi di Dio. Vestire abiti di lino allora è come rivestirsi di Dio. Il secondo termine, usato prevalentemente dal Levitico è bad, radice di lebad, che vuol dire “separazione, solitudine”. In questo senso allude quindi allo stato del sacerdote: colui che si separa dal resto della comunità in segno di consacrazione. Per esprimere sintonia con la santità di Dio anche i sacerdoti erano vestiti di indumenti di lino, in corrispondenza al tendaggio del tabernacolo.


Le mutande rimandano inevitabilmente alla sfera sessuale, divenuta una piaga nella chiesa (presunta e reale) degli ultimi periodi. Ogni giorno purtroppo siamo travolti dalla contaminazione sessuale, che investendo purtroppo anche l’ambito e l’ambiente ecclesiale, provocando scandalo e inficiando l’impegno e la fatica di molti nell’annunciare il Vangelo. Sempre più difficile risulta insegnare la castità ai più giovani, per conservare la purezza donata: cresce il dover provare prima di decidere. Per quelli già sposati invece sta divenendo difficoltoso viverla secondo i principi di Dio, che la disegna come un dono nel matrimonio e non come un abuso o violenza. C’è in giro tanta insoddisfazione sessuale che sempre più sono coloro che cedono alle perversioni. Ritengo non sia oltremodo necessario scendere in particolari. Sono certo del fatto però che da più parti si avverte l’urgenza di ritornare alle “mutande di lino” e capire che la santificazione riguarda anche la sfera della nostra sessualità. Chi vuole essere oggi sacerdote, servo di Dio e ministro della Sua chiesa, deve indossare mutande di lino, ossia badare alla sua purezza morale: “chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo continui a santificarsi” (Apocalisse 22:11).

Siamo consapevoli come ogni “impurità” trae origine dalla nostra mente, quindi da ciò che guardiamo e tocchiamo. Con il diffondersi dei social media sono tali e tante le sollecitazioni che siamo assaliti da ogni dove. Non solo, la nostra società facendo leva sull’egoismo innato di ciascuno, bombarda con messaggi sul proprio valore e sui propri diritti. Ciò determina una sorta di smisurato ingigantimento dei propri bisogni e delle proprie necessità, con la conseguente legittimazione di ogni cosa possa soddisfare i propri desideri e le proprie brame (2Timoteo 3:2-4). Ma se siamo chiamati a raccogliere la cenere dall’altare, non è pensabile una qualsiasi forma di contaminazione, né un miscuglio tra sacro e profano. Ecco perché la Scrittura ci esorta: “i tuoi occhi guardino bene in faccia, le tue palpebre si dirigano dritto davanti a te. Appiana il sentiero dei tuoi piedi, tutte le tue vie siano ben preparate. Non girare né a destra né a sinistra, ritira il tuo piede dal male” (Proverbi 4:25-27). È necessario che vigiliamo su ciò che guardiamo, su ciò che ascoltiamo, su ciò che pensiamo e su ciò che diciamo. Se impariamo a custodire la bocca, le labbra e gli occhi, allora i nostri piedi cammineranno sui “sentieri di giustizia”, non devieranno dalla verità e non ci ritroveremo a percorrere vie pericolose. _____

Una meditazione sul tema: Fuoco acceso e mutande di lino



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