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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Il deserto del battista

Giovanni aveva un vestito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi; e si cibava di cavallette e di miele selvatico.

Matteo 3:4

Siamo bombardati da messaggi, sommersi da meditazioni, scritte, orali e anche in musica. In questo tempo di “clausura” forzata siamo stati invasi da materiale di ogni tipo. Qualcuno potrebbe dissentire, ma ritengo che finora siamo stati circondati anche fin troppo (!?). Il tutto a discapito della quiete e della possibilità di ritrovare un armonioso equilibrio. A volte temo di diventare una voce tra le tante, di aggiungere parole ad altre, amplificando rumore e fastidio. Mi spinge il fuoco che ardeva nelle ossa di Geremia, e mi ammanto di tutta la sensibilità possibile per porgere come spunto di riflessione quanto ora stai leggendo. Recentemente sono stati diffusi una serie di dati che proverebbero in questi ultimi mesi una crescita esponenziale del numero di persone alla ricerca di Dio, confermata anche dalla vendita di bibbie. Voglio unirmi a quanti proclamano che “tutto coopera al bene”, pur temendo l’atteggiamento delle folle che seguivano Cristo per soddisfare un bisogno momentaneo. Purtroppo questa domanda incontra una risposta. Infatti, una delle grandi tentazioni del cristianesimo odierno è incontrare il soddisfacimento della gente proponendosi in maniera socio-ricreativa, preoccupandosi di comunicare un messaggio piacevole, che solletica le persone lasciando in loro un senso di gioia e facendo nascere empatia, ma senza alcun scuotimento interiore.

Se guardo alla Scrittura, in cerca di esempi da seguire, non posso non guardare a lui, del quale Gesù ha detto che non sarebbe sorto profeta maggiore. Sì, lui, il Battista, che predicava unicamente: “Convertitevi” (“Ravvedetevi”, a secondo della traduzione), attirando le folle nel deserto della Giudea. Biblicamente il deserto è luogo di scelta, di formazione e preparazione, spesso luogo di rifugio, altre volte terra di fuga. Giovanni invece vi radunava le persone per condurle al ravvedimento. Viene il tempo in cui lo Spirito ci trasporta nel deserto, allontanandoci dall’ambiente “ordinario” per farci scoprire lo “straordinario” attorno a noi. Quel che mi preme segnalare è che il primo a recarsi nel deserto è il profeta, l’oratore. Anche Gesù l’ha fatto. Nella lingua ebraica “deserto” è definito dal termine midbar, ossia “senza parole”. Allora ne siamo ancora ben lontani! Perché se un suo aspetto è quello di luogo del silenzio, dove per trovare Dio occorre porsi all’ascolto, tacere, tutto ciò che ci circonda ci dice l’esatto contrario. Nel reale siamo avvolti da un trambusto generale, e quando ce la caviamo siamo coperti dall’audio di uno schermo. Nel mondo virtuale siamo comparse consapevoli, raramente protagonisti. Il caos è tale che come all’esterno facciamo oltremodo fatica a percepire un silenzio interiore. Per questo il deserto è anche sinonimo di ritrovare sé stessi. Lascio perciò a voi tutte le considerazioni su quanto è accaduto in questo periodo.

Permettetimi qualche altra considerazione sul battista. Vestiva di pelo di cammello, come anche Elia. 2Re 1:8 riferisce che il profeta vestiva di pelo, presumibilmente di cammello, e che aveva ai fianchi una cintura. Si tratta di un abbigliamento tipico dei profeti. Secondo la tradizione sacerdotale infatti, se fosse stato intessuto con la lana delle pecore, sarebbe stato necessario tosare col ferro gli animali, ma la tradizione levitica ritiene impuro ciò che viene toccato dal metallo. Per questa ragione gli abiti dei sacerdoti sono di lino, un materiale vegetale. Nel caso dei profeti, i cammelli invece perdono il pelo, che viene raccolto e intrecciato. Non doveva essere molto elegante, neanche doveva emanare un bel profumo, ma si trattava di un tessuto puro. Potremmo vederci un’identità senza artifici né sofisticazioni per migliorare l’apparenza. Ciò che deve attrarre non è l’immagine di un uomo, ma il contenuto della sua predicazione. Per finire, uno sguardo all’alimentazione: locuste (spesso confuse con le cavallette) e miele selvatico. Il modo più probabile di mangiare le locuste è di cuocerle sulla fiamma dopo averle infilate su uno stecco, facendone degli spiedini, sui quali è versato del miele. Il miele è "selvatico", cioè non toccato da nessuno, non contaminato da mani impure. Si tratto del cibo che offre il deserto, e che ricorda la capacità dei profeti di sopravvivere con poco cibo, ma non per questo non nutriente. Verrebbe da dire “poco, ma buono”. Perché se il cibo che ti viene proposto non toglie la fame, allora è veramente scarso. Quanto avremmo da meditare su questi particolari e quanto da imparare dalle figure profetiche bibliche tanto lontane da quelle vantate ai nostri giorni. Lascio questi semi nelle tue mani, e chiedo allo Spirito di farli germogliare.

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Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 20

11 maggio 2Re 15-16; Giovanni 3:1-18

12 maggio 2Re 17-18; Giovanni 3:19-36

13 maggio 2Re 19-21; Giovanni 4:1-30

14 maggio 2Re 22-23; Giovanni 4:31-54

15 maggio 2Re 24-25; Giovanni 5:1-24

16 maggio 1Cronache 1-3; Giovanni 5:25-47

17 maggio 1Cronache 4-6; Giovanni 6:1-21



foto di Andrew Stuart, www.freeimages.com



 

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