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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

La barca di Pietro

Allora salì su una delle barche, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Postosi a sedere, ammaestrava le folle dalla barca.

Luca 5:3

Quanto accade nella descrizione fornita dal vangelo di Luca nei primi versi del capitolo 5 mi è familiare al punto da riviverla ogni volta che la leggo. Infatti, è dal suo contesto che ha preso vita la mia ultima pubblicazione dedicata alla leadership, Vi farò pescatori di uomini. Non è di questo però che desidero parlarti. Questa volta la mia attenzione è stata catturata dalla barca, una delle due barche sulla riva del lago, sulla quale Gesù salì e ammaestrò le folle, dopo che Simon Pietro l’aveva rimessa in acqua. Proprio questa barca sarà successivamente riempita miracolosamente di pesci a tal punto che rischiava di affondare. Simone e gli altri dovettero così trasferire parte del pescato sull’altra barca che era rimasta a riva. Queste due barche e il racconto del Vangelo ci consentono di descrivere il ciclico corso della chiesa, della comunità di credenti, tra periodi di stasi, ferma a riva, oppure in acqua per una notte intera senza vedere un pesce. Sballottata in mezzo alle onde o fiera dominatrice delle acque. Sì, perché quando il Signore è a bordo tutto cambia. Non c’è tempesta che non si possa affrontare e non c’è rete che non si possa gonfiare. Allora il punto è se il Signore è accolto o se la barca risponde al mandato?


La barca è una metafora antichissima della Chiesa: uscire, salpare, navigare, tirare a bordo, portare a riva. Dietro ogni verbo una realtà, un’azione, una necessità. Non esiste una Chiesa ferma, a godere il tiepido sole lungo la riva del lago, in attesa che qualcosa accade. Quello che accade sulla barca di Pietro ci parla di una comunità pronta a rispondere al mandato, all’invio. Sono i dodici per primi ad essere inviati (Matteo 10:5) per curare le ferite, riscaldare i cuori, recare sollievo e consolazione senza farsi rinchiudere dalle norme antiche. Quell’inviare, almeno nella lingua italiana, ha in sé la “via”, essere per la strada, uscire per andare incontro. Ed è questa l’anima dell’evangelizzazione: “andate per il mondo”. Alzarsi e andare, rompendo ogni torpore, lasciando la propria condizione. Un rapido sguardo alle pagine dell’Antico Testamento rivela come Dio abbia sempre animato l’azione di chi ha vocato, con lo stesso ed unico comando: alzati, kum in aramaico. Mosè, Elia, Giona per citarne alcuni. Nell’intera Bibbia centinaia di volte echeggia: «alzati e va’». Kum è il verbo di chi era fermo, a terra; l’ordine per chi se ne stava rinchiuso. Quanto desidero che in me, attorno a me, ovunque tu sia, possa risuonare nel vento, sopra e dentro di noi, tutta la forza di questa parola: Kum! Quando Dio chiama, invia, mette in viaggio. Ecco allora che un percorso si avvia, un processo ha inizio per chi parte e si fida. Non è casuale se prima di essere chiamati ad Antiochia “cristiani”, i discepoli di Gesù sono identificati come “quelli della via”.


Camminare è un atto di libertà, fa scoprire se stessi mentre si scopre il mondo. Ma tornando agli inizi, la prima comunità nasce sulle strade di Galilea, non nelle aule di una scuola o nelle stanze di un tempio, ma sui sentieri attorno al lago di Tiberiade. Probabilmente ai nostri giorni molte piccole barche hanno trovato la loro inutile quiete, ben salde ai loro ormeggi, lontane dal pericoloso mare. Non per questo però sono state costruite. Hanno seguito l’esempio del servo che nascose il suo talento per timore di perderlo. Tu ed io siamo chiamati a navigare, ed anche ad affrontare tempeste. Non inseguiremo successi o risultati trionfali, ma godremo su una barca in mare aperto, dove nonostante acque agitate e vento contrario il Maestro riposa a bordo. Guardando alla barca di Pietro, oltre che come metafora della chiesa, a un tipo della vita di ciascuno, desidero lasciarti un ultimo incoraggiamento con una bellissima poesia di Jacques Brel.


Conosco delle barche che restano nel porto per paura

che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto

per non aver mai rischiato una vela fuori.


Conosco delle barche che si dimenticano di partire

hanno paura del mare a furia di invecchiare

e le onde non le hanno mai portate altrove,

il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.


Conosco delle barche talmente incatenate

che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare

per essere veramente sicure di non capovolgersi.


Conosco delle barche che vanno in gruppo

ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’

sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.


Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto,

ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche traboccanti di sole

perché hanno condiviso anni meravigliosi.


Conosco delle barche che tornano sempre

che hanno navigato fino al loro ultimo giorno,

e sono pronte a spiegare le loro ali giganti

perché hanno un cuore a misura di oceano.


 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 42

09 ottobre Isaia 32-33; Colossesi 1

10 ottobre Isaia 34-36; Colossesi 2

11 ottobre Isaia 37-38; Colossesi 3

12 ottobre Isaia 39-40; Colossesi 4

13 ottobre Isaia 41-42; 1 Tessalonicesi 1

14 ottobre Isaia 43-44; 1 Tessalonicesi 2

15 ottobre Isaia 45-46; 1 Tessalonicesi 3


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