All'orizzonte un rito che si rinnova, insieme alle speranze e alle polemiche, tra favorevoli e contrari. La sola menzione del "Natale" mi fa ricordare la notte della natività quando echeggiarono chiare le parole dell’angelo ai pastori: "Non temete, perché vi annunzio una grande gioia che tutto il popolo avrà; poiché oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore" (Luca 2:10-11). Una grande gioia è connessa alla nascita del Cristo, e parafrasando uno slogan pubblicitario, potremmo dire: “No Jesus, no party, no joy”. Non saranno, infatti, gli addobbi o le luci ad infondere in noi la gioia se poi interiormente siamo avvolti da nubi di ansie e preoccupazioni varie. Ogni forma di maschera e di ipocrisia troverà presto il suo tempo. Perché nascondersi o coprirsi di falsità? Dovremmo piuttosto che protenderci su noi stessi e il nostro privato, allargarci all’altro, donarci appunto.
All’origine della festa del Natale c’era anche un bisogno teologico per rispondere a chi sosteneva che Gesù non avesse natura divina e che solo al battesimo nel Giordano avesse ricevuto la pienezza divina. La scelta della festa, seppur calata su una realtà pagana dell’Impero, consentiva di dichiarare che Dio si era fatto uomo in Cristo sin dall’inizio, e che quel bambino era il Figlio di Dio già alla nascita. Ecco allora che questo periodo potrebbe favorire il ricordo delle tante acclarate origini cristiane della nostra società, ossia aiutare a volgere lo sguardo su Colui che un giorno è venuto a dimorare in mezzo a noi, assumendo natura umana nel seno di Maria e venendo alla luce in una umile stalla a Betlemme, per testimoniarci l’amore di Dio per ognuno, talmente immenso da lasciare la Gloria del cielo e farsi come noi con l'intento di renderci partecipi del Cielo, riconciliandoci al Padre mediante la Grazia. Infatti, proprio questa prospettiva diventa consolatoria in un tempo di sofferenza e lacrime. La nascita del Cristo non è fine a sé stessa. Egli non è venuto per lasciarci una festa, ma per aprirci le porte del Cielo, per aiutarci a vivere questa esistenza come viatico verso il Suo regno, per donarci quanto stiamo agognando. Le sue indicazioni sono di aggrapparci a lui come i tralci alla vite, così che «la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15:11), e di vigilare fino al giorno del Suo ritorno.
La chiesa che frequento il 25 dicembre celebra da tanti anni un culto, ove credenti di tutte le età, attraverso il battesimo in acqua, testimoniano l’esperienza di Cristo vivente in loro, raccontano di come hanno trovato la fonte di speranza per affrontare il tortuoso cammino del vivere. Nel presepe dell’esistenza ciascuno di loro è così “una stella” che indica agli smarriti la via del Signore. Ciò però non vuole mettere da parte il dono della famiglia, degli amici e dei parenti, ma esaltarne il valore quando la fede diviene illuminante nelle tenebre diffuse. Sono sicuro che tutti amiamo le feste quando ci consentono di avere una pausa dal lavoro e ci concedono occasione per godere dei cari che Dio ci ha donato. Se il presepe francescano pone al centro la "sacra famiglia", il credente con la sua famiglia dovrebbe sforzarsi di fare altrettanto, perché in essa scorge l'agire divino nelle varie relazioni tra coniugi, figli, genitori e figli. In quanti ancora credono nel valore della famiglia, il periodo natalizio fa crescere la sensibilità per chi una famiglia non ha più, o da essa è allontanato per ragioni varie. Come non pensare alle case famiglie e di accoglienza, case di detenzione e di cura, il cui paradosso è accogliere solo soggetti separati e/o privati di famiglia. E se aggiungessimo un pensiero a quelli che affrontano il mare sui barconi o quelli che sono sotto le bombe, altro che festa... Pensare a costoro copre il cielo di nubi di tristezza.
Quando molti sognano almeno per un giorno un mondo migliore, famiglie felici, ospedali vuoti, chiese stracolme, bambini felici con i loro giocattoli, tavole imbandite dappertutto, occorre guardarsi attorno e rivedere le nostre consuetudini nel rispetto di chi ha il cuore a pezzi, gli occhi bagnati e un enorme groppo alla gola. Innanzitutto riscoprire che quello simpaticamente definito “spirito natalizio” è tutt’altro dal divertimento e dalla baldoria, ma solidarietà e vicinanza. In questi giorni forse avremo modo di pensare maggiormente anche a chi vive in case famiglie e di accoglienza, case di detenzione e di cura. Se abbiamo un minimo di fede, converremo che il ricordo del Cristo non può legarsi ad una celebrazione imposta da un calendario liturgico, e che quel che conta veramente è ciò che Egli ha posto innanzi a ciascuno: “Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio né grido né fatica, perché le cose di prima son passate” (Apocalisse 21:3-4). Gesù ritorna, "e lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!»" (Apocalisse 22:17).
Adoperiamoci, collaboriamo, preghiamo affinché ci sia per tutti la gioia annunciata nella notte di Betlemme, del Cristo che abita nella vita di chi ha scelto di confidare nell’Eterno. Non sarà mai questione di un giorno in particolare, ma sempre di condizione interiore, per cambiar la quale non basteranno aleatori auguri e auspici vari. Fin quando non sarà Lui al centro della nostra esistenza non riusciremo a comprendere pienamente il senso delle parole a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (Giovanni 3:3). Già allora Gesù anticipava la meraviglia di un uomo professante la fede di Israele. Basterebbe questo per comprendere che non si tratta di rinnovare un rito o di posizionare un bambinello nel presepe. La stalla e la mangiatoia dovrebbero indicare a tutti la via dell’umiltà, per dare inizio a un nuovo percorso senza nulla pretendere, ma lasciare che il Cristo abiti la propria esistenza. Se questo non è ancora accaduto, possa allora essere questo il tempo per realizzarlo. Nasci di nuovo in Cristo. Afferra il dono di Dio e lasciati illuminare dalla Sua luce.
Una considerazione finale. Questa festa non dovrebbe giungere a fine anno, quasi a dirci: “Ci hai provato per un anno intero senza riuscirci, adesso non ti resta che affidarti a Lui”. In questo modo diventa il palliativo alla nostra umana incapacità. Sarebbe più opportuno invece che fosse posta ad inizio anno, ad indicarci che senza Gesù “non possiamo fare nulla”, non ci affaticheremo invano, ma sin da subito affideremo a Lui la direzione della nostra vita. Tanta gioia a chi è giunto fin qui!
Che verità. Amen.