«Il regno dei cieli è simile a un uomo che aveva seminato buon seme nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e seminò le zizzanie in mezzo al grano e se ne andò…».
Matteo 13:24-25
Il sole è alto e i campi biondi di grano maturo per la mietitura, quando lo sguardo del Maestro scorge qualcosa che travalica i limiti temporali. Infatti, guardando ad alcuni di questi campi Gesù ci ha lasciato la memorabile parabola del grano e della zizzania, capace di trasferirci un messaggio di vivida e duratura ricchezza. Anche se non siamo nel periodo estivo e non possiamo imbatterci in simili visioni, ritengo che questa scena possa parlarci proprio in questo tempo particolare per la comunità cristiana in generale. La parabola chiude un trittico nel quale Gesù traccia appunto l’evolversi della Chiesa (intesa nell’insieme di quanti fanno parte del Suo regno) nel mondo. La parabola del granellino di senape che diventa un albero e quella del lievito nella farina sono sinonimi di crescita e della forza trasformatrice del vangelo. Nel nostro testo dobbiamo fare i conti con un intruso.
Differentemente dalle altre due, Gesù deve spiegare ai discepoli il significato della parabola del grano e della zizzania (13:36-43). Almeno questo ci dice il vangelo. Il seminatore, spiega, essere lui stesso, il Figlio dell’uomo; il seme buono, i figli del regno; il seme cattivo, i figli del maligno; il campo, il mondo e la mietitura, la fine del mondo, il che proietta il tutto ad un futuro sempre più prossimo in una relazione intrecciata di figli. Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di un postumo commento al testo originario, su cui l’esegesi e l’ermeneutica potrebbero sbizzarrirsi. L’espressione “il campo è il mondo” fu oggetto di una memorabile disputa, che sembra ripresentarsi di tanto in tanto anche ai nostri giorni. C’è sempre stato qualcuno che ritiene che da una parte vi sia la Chiesa (la loro chiesa!), composta tutta e solo di persone perfette e impeccabili; dall’altra il mondo pieno di figli del maligno, senza speranza di salvezza. Anche Agostino si confrontò con questo pensiero, affermando che il campo è sì il mondo, ma è anche la chiesa, ove convivono fianco a fianco santi e peccatori. Nella chiesa, guardando alla pazienza di Dio, c'è spazio per crescere e convertirsi: la zizzania può diventare grano e il grano può (ahimè!) diventare zizzania. Così sosteneva il vescovo di Ippona.
La zizzania, nota come “loglio ubriacante”, è una specie spontanea e infestante, riconoscibile dai fiori rossi solo a maturazione del raccolto, quando appare più corta, sgraziata e senza spighe. Per questo la sua eliminazione dai campi è difficoltosa. Eppure la pericolosità di questa pianta è ben altra, avendo un potere intossicante tale da provocare forti emicranie, vertigini, vomito ed oscuramento della vista. Mi perdoni il lettore, se dati i suoi effetti oso paragonarla al male diffuso della superbia e dell’orgoglio, di chi a tutti i costi vuole porsi al di sopra degli altri più dei figli di Zebedeo. I chicchi della zizzania, se misti al grano, ne rendono amara e malsana la farina. Il suo germinare è attribuito nella parabola alla semina notturna da parte di un nemico, una persona malvagia, che “infetta” il grano. Nell’indicazione di Gesù di lasciarla e non rimuoverla, rimandando l’operazione a tempo debito, incontriamo il tema della pazienza di Dio, che non è un aspettare il giorno del giudizio per poi punire con più soddisfazione. Anzi, è longanimità, misericordia, volontà di salvare. Si tratta di una pianta che fa danni, ma l’Iddio paziente ci sollecita a lavorare con impegno al fine di cambiare prima noi stessi e, per quanto possibile, di adoperarci affinché la zizzania diventi grano buono.
Gli anni alle mie spalle mi confermano la facilità con la zizzania si confonde al grano, e come parte del grano (almeno tale appariva) improvvisamente si tramuti in zizzania. Mistero!? Di certo solleva dubbi sulla reale conversione di chi pur vivendo e crescendo tra il grano resti comunque solo zizzania. Posso comprendere l’amarezza e la delusione di quei servi che nel controllare il campo scoprono la zizzania e sono tormentati dal cosa fare. Eppure la realtà è proprio quella di convivenza e coesistenza del bene e del male. Le indicazioni dell’atteggiamento di Dio sono di non farsi prendere da impeti frettolosi. Pur discernendo non possiamo separare. Potrei allora suggerire di non scandalizzarsi, restare indifferenti senza lasciarsi impressionare, secondo il consiglio di Virgilio a Dante: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. L’apostolo Paolo invece suggeriva: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Romani 12:21). Il bene è una cosa, il male è un’altra. Non si possono mescolare. Tutti insieme continuiamo a seminare il bene, a fare il bene, a parlare bene, perché solo così il male sarà vinto. Lasciamo al tempo di distinguere e di aiutare a distinguere la zizzania dal grano, raccogliendo l’invito del Salmista: “Sta' in silenzio davanti al Signore, e aspettalo; non adirarti per chi prospera nelle sue imprese, per l’uomo che ha successo nei suoi malvagi progetti. Cessa dall'ira e lascia lo sdegno; non adirarti; ciò spingerebbe anche te a fare il male” (Salmi 37:7-8).
Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 43
17 ottobre Isaia 50-52; 1 Tessalonicesi 5
18 ottobre Isaia 53-55; 2 Tessalonicesi 1
19 ottobre Isaia 56-58; 2 Tessalonicesi 2
20 ottobre Isaia 59-61; 2 Tessalonicesi 3
21 ottobre Isaia 62-64; 1 Timoteo 1
22 ottobre Isaia 65-66; 1 Timoteo 2
23 ottobre Geremia 1-2; 1 Timoteo 3
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