Quanto è magnifico il tuo nome su tutta la terra, o Eterno, Signor nostro, che hai posto la tua maestà al di sopra dei cieli!
Salmo 8:1
Il Salmo 8 è tra i miei preferiti, capace di sollevare la mia anima. Il suo testo riesce a descrivere perfettamente la mia condizione insignificante di granello microscopico al confronto con il Creatore, ma senza schiacciarmi. Il salmista pone l’Eterno al di sopra di tutto, e ciononostante Egli si piega verso di me elevandomi sull’opera delle Sue mani. Leggiamo una descrizione astronomica come un ricamo delle dita di Dio, sarà per questo che quando nel 1969 gli astronauti americani toccarono le sabbie lunari depositarono una lamina su cui era impresso proprio questo Salmo. La lettura e la riflessione mettono un desiderio di lode, dinanzi alla contemplazione della creazione, che prorompe nel magnificare il Suo nome su tutta la terra. Magnificare è esaltare con parole di lode, è lodare in modo entusiastico. Non so se oggi il tuo cuore è disposto a tanto, e se non lo fosse, allora considera quel che Dio ha fatto attorno a te. Il salmista magnifica Dio nel considerare quanto grande Egli abbia reso lui.
Perché il suo nome? Nel suo nome è racchiuso il suo essere e il suo agire. L’allocuzione “Io sono colui che sono” (Esodo 3:14) nel testo è riferito al tetragramma divino (YHWH), termine che non veniva mai pronunciato dagli Ebrei, nemmeno durante la lettura del testo biblico. Il tetragramma, attraverso il quale Dio si rivela, corrisponde a un nome verbo. Più che una rivelazione del nome misterioso di Dio, il testo afferma solo l’essere irraggiungibile e inconoscibile di Dio, un presente in movimento, la cui azione è però visibile e operante nella storia, e nel nostro salmo nel creato. Io sono YHWH, quindi non un vuoto appellativo incomprensibile, ma una presenza efficace e suprema che interviene al fianco del popolo con la Sua mano liberatrice. Da questa prospettiva la cognizione di Dio entra in una proiezione del tempo. Se ne ricava che non si ha un appellativo o un modo per identificare una figura, ma un modo per tener presente che Dio è Colui che è sempre vicino a noi. Ecco l’Io sono come Colui che è “essere” al presente e che lo sarà anche al futuro. Egli non è passato, poiché quando arriviamo al Suo cospetto tutto ciò che è passato non interessa più alla nostra vita. Ciò che a noi può e deve interessare è che Egli sia presente oggi e che intervenga nel nostro futuro.
Il Suo è un nome “non nome” che, nel testo ebraico, è espresso con una forma verbale che lega assieme presente e futuro. Alcuni ritengono che la traduzione corretta sia “Io sono quello che sarò con te”. Una presenza di Dio, quindi, attestata al presente, ma che continua ancora nel futuro. Per questo qualche traduttore opta per la forma abbreviata “Io ci sono sempre”. Non solo Egli è presente nel tempo, ma la Sua è presenza vicina, come l’amico nel momento del bisogno. Egli c’è! Allora loda, allora salta, allora magnifica il Suo nome. Tutte le volte che menzioniamo il Suo nome dovrebbe dispiegarsi un viale, un ponte e una strada d’amore, perché Dio si è rivelato a noi come Padre e ci ha manifestato tale amore. Tutte le volte che lo nominiamo per altri intenti è “invano”, nel senso di irriverente, ipocrita e leggero. Non a caso nella preghiera modello del Padre Nostro, Gesù insegna: «Sia santificato il tuo nome» (Matteo 6:9).
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Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 26
22 giugno Ester 9-10; Atti 7:1-21
23 giugno Giobbe 1-2; Atti 7:22-43
24 giugno Giobbe 3-4; Atti 7:44-60
25 giugno Giobbe 5-7; Atti 8:1-25
26 giugno Giobbe 8-10; Atti 8:26-40
27 giugno Giobbe 11-13; Atti 9:1-21
28 giugno Giobbe 14-16; Atti 9:22-43
Il 28 giugno 1703 nasceva John Wesley, teologo inglese, fondatore del metodismo. In oltre sessant’anni di ministero scrisse oltre 40.000 sermoni. In un tempo di grandi cambiamenti economici, politici, sociali, religiosi e culturali, il suo impegno fu quello di tradurre la propria fede in potenziale dinamico, capace di contribuire alla costruzione di una nuova società. «Consumato dal pensiero della brevità del tempo, dalla grande opera che doveva essere fatta e dalla necessità dell'urgenza nel farla, marciò innanzi, predicando, supplicando, avvertendo e guidando...». Fu un uomo che visse in una prospettiva di eternità: in lui la radice di un sano pentecostalesimo. Prima di ogni cosa, poneva la salvezza dell’anima: «Prima di poter predicare l'amore e la grazia, devo predicare il peccato, la legge e il giudizio». Consigliando un altro ministro, Wesley scrisse: «...fino a quando non spingerai i credenti ad aspettarsi la piena salvezza dal peccato, non devi cercare alcun risveglio». Il suo immenso lascito resta un'eredità da riscoprire e investire nel nostro tempo.
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Foto di Predrag Dedijer, www.freeimages.com
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