«Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi davanti a me».
Esodo 20:2-3
Il decalogo si apre con l’espressione: «Io sono l’Eterno, il tuo Dio», lasciando intendere che Colui che parla è l’unico; una sorta di biglietto da visita dell’Iddio che Mosè ha conosciuto dinanzi al roveto ardente. In quella circostanza aveva udito: «Io sono Colui che sono» e successivamente: «Dirai così ai figli d’Israele: “L’Io Sono mi ha mandato da voi”» (Esodo 3:14). L’allocuzione “Io sono colui che sono” nel testo è riferito al tetragramma divino (YHWH), termine questo che non viene mai pronunciato dagli Ebrei, nemmeno durante la lettura del testo biblico. Il tetragramma risulta impronunciabile non solo perché composto da sole consonanti, ma anche per una sorta di riverenza verso Dio. In ebraico il termine “Dio” non esiste, ma vi sono solo dei nomi, attributi del divino. Il tetragramma, infatti, non corrisponde a un nome sostantivo, bensì a un nome verbo: “hwh, hjh”. Più che una rivelazione del nome misterioso di Dio, il testo afferma solo l’essere irraggiungibile e inconoscibile di Dio, un presente in movimento, la cui azione è però visibile e operante nella storia. Io sono YHWH, quindi non un vuoto appellativo incomprensibile, ma una presenza efficace e suprema che interviene al fianco del popolo con la Sua mano liberatrice. Da questa prospettiva la cognizione di Dio entra in una proiezione del tempo. Se ne ricava che non si ha un appellativo o un modo per identificare una figura, ma un modo per tener presente che Dio è Colui che è sempre vicino a noi.
Questo Suo essere escluderebbe a priori potenziali rivali, anche se immediatamente dopo il testo allude ad essi. Il “non avere altri dèi” potrebbe riferirsi al contesto politeista, quale era quello della stesura delle tavole, nonché alla collocazione del popolo in una territorio idolatra. Il popolo era uscito dalla terra d’Egitto, dove aveva assistito e partecipato ai culti egiziani, le cui divinità erano molteplici, una per ogni realtà dell’esistenza umana, da quella della fecondità fino a quella della morte; un dio, quindi, per ogni circostanza della vita. Si potrebbe supporre che in una realtà politeista il testo in esame sia l’annuncio del monoteismo e, altresì, reputare che l’Eterno stesse dicendo a questo popolo: “Io sono l’unico e degli altri puoi fare a meno!”. Questo concetto va considerato in relazione alla seconda parola, dove è fatto divieto di fare sculture e immagini. Ne anticiperò solo in parte il richiamo per sottolineare come gli altri déi siano rappresentati con delle immagini, le quali altro non sono che il prodotto della mente umana, una sua elaborazione. Può l’uomo rappresentare la divinità? Tutto ciò che questi produce con le proprie mani è frutto di ciò che la mente vede e immagina. L’immagine appartiene all’immaginario e ciò che è immaginario è un prodotto della fantasia, quindi non esiste!
Dio sta dicendo: “Non esistono altri déi! Non averne altri perché così facendo segui la tua fantasia, segui un’immagine prodotta dal potenziale immaginario della tua mente. Io sono l’unico, il tuo Dio, Colui che ti ha tratto fuori dal paese d’Egitto”. Il rapporto che Dio instaura con il popolo si basa su un dato di fatto, una dimostrazione: l’averlo tratto dall’Egitto è un dato innegabile e incontrovertibile. Tale dimostrazione innesta una richiesta di fedeltà, quella di non avere altri dèi, come a dire: “Devi essere fedele solo a me”. Purtroppo fare i conti con l’impazienza mostrerà invece l’infedeltà e porterà da subito alla fabbricazione di idoli. Il capitolo 32 dell’Esodo racconta proprio cosa accadde nell’accampamento nel lasso di tempo in cui Mosè era salito sul monte per ricevere le Tavole. Il ritardo di Mosè indusse il popolo a chiedere un idolo. La prima parola va nella direzione della pazienza: “Ricorda chi sono e cosa ho fatto”, le successive verso il dominio delle pulsioni e del possesso. Impariamo con pazienza a riconoscere YHWH. L’uomo non può riprodurre il suo Creatore, non Lo può né visivamente immaginare, né rappresentare e qualsiasi tentativo sarà deleterio. La bibbia insegna questa verità fin dalle prime pagine. Dio è conoscibile mai visivamente e solo uditivamente, sempre e solo attraverso una parola. Mosè ha acquisito la Sua conoscenza dall’ascolto di una voce che gli parlava da un roveto che ardeva (Esodo 3:2-6). Lo stesso capitolo 20 esordisce: «Allora Dio pronunziò tutte queste parole…». La rivelazione di Dio avviene attraverso una parola. Per questo il mio invito è alla lettura e all’ascolto della Parola.
Piano di lettura settimanale
della Bibbia n. 39
18 settembre Proverbi 30-31; 2Corinti 11:1-15
19 settembre Ecclesiaste 1-3; 2Corinti 11:16-33
20 settembre Ecclesiaste 4-6; 2Corinti 12
21 settembre Ecclesiaste 7-9; 2Corinti 13
22 settembre Ecclesiaste 10-12; Galati 1
23 settembre Cantico dei C. 1-3; Galati 2
24 settembre Cantico dei C. 4-5; Galati 3
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