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Pregare con le mani giunte

  • Immagine del redattore: Elpidio Pezzella
    Elpidio Pezzella
  • 5 mag 2023
  • Tempo di lettura: 2 min

La preghiera resta un'arte da esplorare e imparare, e nessuno ne saprà mai abbastanza dato che non esiste manuale ufficiale. Ecco che chi si accosta a questo gesto con desiderio di relazionarsi con Dio unisce alle parole del cuore un linguaggio del corpo. Anche se spesso si acquisisce una gestualità per imitazione. Se cerchi un'emoticon della preghiera ti imbatterai nelle mani giunte con le dita distese. Perché?

Mi sono interrogato su quello che è il gesto più diffuso e con il quale esprimiamo la nostra ricerca del soprannaturale: pregare a mani giunte. Chi ha fatto l'esperienza di frequentare durante l'infanzia un istituto religioso cattolico, forse avrà ascoltato una spiegazione del tipo: "Si prega a mani giunte affinché le preghiere arrivino in Paradiso. Se le mani puntano verso il basso, le preghiere andranno all’Inferno. Se le mani sono di lato, le preghiere si disperderanno nella stanza". Quindi le mani assumono il valore di indicatore, come il puntatore di un'arma.


La ragione per la quale si congiungono le mani all'altezza del petto durante la preghiera ha un simbolismo profondo, che affonda, secondo alcuni, le radici nei costumi delle culture antiche. Nell'ebraismo, infatti, come documenta il Talmud, alcuni pregavano a mani giunte già dal periodo successivo all’esilio, e hanno continuato a farlo anche dopo l’avvento del cristianesimo. Alcuni storici sostengono che i cristiani abbiano quindi ereditato il gesto dall’ebraismo.


Secondo altri, invece, l’atteggiamento a mani sarebbe da collegare alla pratica romana di legare le mani di un prigioniero con una corda. Le mani unite, in tal caso, indicherebbero una sottomissione. Nell’antica Roma, un soldato che veniva catturato poteva evitare la morte immediata unendo le mani, dichiarando in questo modo la sua arresa, come sventolare una bandiera bianca. Secoli dopo, i soggetti dimostravano la propria lealtà e rendevano omaggio ai loro governanti unendo le mani.


Nel tempo, la pratica, già presente nel mondo romano, è stata utilizzata dal vassallo di fronte al loro signore. Questi congiungeva le mani e le poneva unite fra quelle del suo signore per diventare suo vassallo. Da qui alla spiritualità il passaggio è stato breve. Infatti, c'è chi sostiene che l'usanza nasca nel Medioevo, precisamente nel XIII secolo, quando furono i francescani ad introdurla nella liturgia dell'adorazione dell'Eucarestia. Successivamente papa Gregorio IX rese la preghiera manibus junctis una consuetudine.


Uscendo dai confini cristiani, il gesto è ampiamente diffuso anche in Oriente dove tracce archeologiche lo testimoniano già 3-4 mila anni prima di Cristo. Qui si tratta di un segno di benedizione talmente diffuso che ancora oggi in India viene utilizzato per salutare il prossimo, pronunciando il classico namastè, che significa “mi inchino a te”.


A mani giunte, allargate o alzate, trova il tempo anche ora per rivolgere la tua preghiera, perché chi non prega è come acqua chiusa in bottiglia: schiavo della propria corruttibilità, impotenza e irritabilità. O, come suggerito da altri, è una persona che annaspa, che fa fatica a respirare perché gli manca l'ossigeno. La preghiera è "un'ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Giovanni Crisostamo). Sia chiaro non saranno i gesti o le parole usate a rendere efficace una preghiera.


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Per rispondere all’aspirazione e al desiderio di tanti onesti credenti di trafficare i talenti ricevuti, mi sono impegnato a formare uomini e donne fedeli per “un servizio che serve”, seguendo l’invito di Gesù (Mt 20:26-27). Il materiale proposto vuole offrire occasioni di formazione e crescita personale non da paventare ad altri, ma una condivisione per crescere assieme, lontani da polemiche, accuse e ogni forma di giudizio volto a alimentare dissidi e contese inutili. Io ci provo! 

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