Quello che spinge l’essere umano verso Dio è l’esigenza insita che si ha di Lui. Vi sono capacità innate che l’uomo possiede come il senso dell’estetica, della musica, così come pure il senso o l’esigenza di un qualcosa o qualcuno cui affidarsi. La famiglia ha un ruolo fondamentale nell’educare alla fede; gli insegnamenti della chiesa e quelli mirati all’età infantile permettono di ricordare per tutta la vita la condotta da tenere (Proverbi 22:6).
Da figlia di un pastore evangelico, ho ricevuto sin da piccola un’istruzione alla fede che, crescendo, ho poi voluto sperimentare per poterla realmente accettare. Grazie a quegli insegnamenti ho avuto la possibilità di credere, come sostiene una massima che il “credere non si mostra, lo si prova”. In un piano catechetico il lemma “senso” vuol dire: una ricerca di coerenza fatta mediante esperienze vissute nel proprio quotidiano, e in luoghi differenti quali la scuola o il posto di lavoro, che rende la propria esistenza capace di svilupparsi nel modo più felice e armonico possibile. La dimensione del senso è legata alla situazione in cui si vive, alle proprie radici sia culturali, sia religiose. Se esiste, però, considerazione sul senso, c’è da riflettere anche sulla definizione di “non senso” cui siamo costretti a vivere oggi. Una verità che caratterizza la nostra società moderna, e, che spesso, entra in collisione con gli insegnamenti trasmessi; un continuo confrontarsi «con dinamiche distruttrici, di non senso…».
Da educatrice, ma soprattutto da mamma di tre figli ho sempre cercato di trasmettere loro la fede, di dargli il “senso cristiano”. Sappiamo bene, che la salvezza per i nostri figli non avviene in automatico (magari così fosse!), ma dopo un percorso in cui si sono ricevute le “istruzioni” per discernere quale via percorrere. E se il senso inteso nella sua pluralità, può essere innato, esso può essere anche prodotto o manipolato. I produttori, ossia i genitori e le comunità cristiane, hanno il dovere spirituale e materiale di offrire a tutti, in particolare alla fascia dell’infanzia e a quella giovanile, un piano di insegnamento che li indirizzi al senso cristiano basato su cardini scritturali, ma non legalistici. In medio stat virtus, (la virtù si trova nel mezzo), educazione e istruzione devono camminare assieme. L’educazione spetta principalmente alla famiglia, ma c’è una grande responsabilità che hanno anche le realtà istruenti: scuola e chiesa. Le chiese, come le scuole, spesso si trovano a dover sopperire alla mancanza di trasmissione di fede e di educazione delle famiglie verso i figli, e, quindi a educare istruendo. Anticamente il primo luogo d’istruzione e educazione era la casa: la famiglia aveva l’obbligo di insegnare e trasmettere la fede ai propri figli. Solo in seguito fu dato loro supporto. Educare e istruire però, non è solo un obbligo, ma è un vero atto d’amore nei loro confronti.
«Lasciate stare i bambini e non impeditegli di venire da me, perché il regno di Dio è di chi è come loro» (Matteo 19:14), esortava il Maestro Gesù. Il messaggio è chiaro: ai piccoli si può insegnare, in quanto liberi da orgoglio mentale, fiduciosi, senza sofisticazioni e desiderosi di amare e di essere amati. Coloro che si adoperano per educare e istruire bambini e ragazzi, non saranno retribuiti materialmente, ma sarà manifestato loro il rispetto meritato. Paolo così si espresse verso chi aveva ricevuto questa vocazione e con la quale partecipava all’edificazione della chiesa mediante un servizio fedele: «Oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il Cristo la renderà visibile» (1 Corinti 9:3-12). Questi materiali intendevano rappresentare il servizio reso. Parole ed esortazioni, che arrivano al cuore dei credenti di ogni epoca, al fine di incoraggiare un servizio degno e di valore. Che tanti ancora, come strumenti musicali utilizzati da mani abili, elevino un suono armonioso e si adoperino per la stessa causa, senza remare contro, ma insieme per raggiungere il cuore di ogni ragazzo.
Articolo di Gabriella Cristallo
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