Il 13 novembre è la giornata della gentilezza, introdotta per la prima volta nel 1998 dal World Kindness Movement (Movimento mondiale per la Gentilezza), ha l’obiettivo di promuovere l’attenzione verso il prossimo. La data fu scelta a ricordo dell'inizio della conferenza svoltasi a Tokyo nel 1997, e che portò alla firma della Dichiarazione della Gentilezza.
Uno dei frutti dello Spirito, elencati nella epistola ai Galati (5:22), è la gentilezza, resa in italiano anche come dolcezza o bontà, e che il profeta Isaia attribuisce a Dio nella guida del popolo, rivelandoci un aspetto fondamentale della cura. Eppure mi risulta che quando cerchiamo di vivere secondo le indicazioni della Parola di Dio, chiediamo di avere più umiltà, tanta pazienza, maggior autocontrollo, ma non preghiamo quasi mai di diventare gentili. Ho pensato di riflettere a riguardo in quanto parte essenziale della vita cristiana. Ogni volta che mostriamo gentilezza abbiamo l’opportunità di lasciare un segno positivo su chi ci circonda e dimostrare il Suo amore a un mondo che soffre. Per coltivare la gentilezza, possiamo ispirarci a Gesù, che mostrava gentilezza a tutti quelli che incontrava, anche (e soprattutto) a quelli rifiutati e disprezzati. Incarnare il frutto della gentilezza nelle nostre interazioni, farà la differenza nella vita di coloro che ci circondano e recherà gloria a Dio. La gentilezza è una forza da utilizzare. Erroneamente qualcuno la considera un segno di debolezza; meglio essere rigidi e irremovibili. Invece, tutti sappiamo, che per cambiare un’opinione sbagliata occorre la persuasione e la dolcezza invece che l’autorità o l’intimidazione.
Nel Nuovo Testamento due parole greche indicano la gentilezza. La prima è epieikeia, si riferisce a un tipo di mentalità premurosa, appunto quella del pastore che cura il gregge. Denota la caratteristica di cercare la pace in maniera calma. La seconda è praotēs, quella che l’apostolo Paolo usa nell’elenco del frutto dello Spirito. Si tratterebbe di una parola presa dal mondo della medicina per rendere l’idea di un rimedio leggero, facilmente digeribile per lo stomaco. Solitamente assomigliamo la gentilezza alla mansuetudine, per via delle traduzioni: alcune lo rendono anche con “longanimità” o “lentezza all’ira”; ma ci sono delle differenze sostanziali. La gentilezza descrive il modo in cui trattiamo gli altri; mentre la mansuetudine indica il modo in cui rispondiamo quando gli altri ci trattano male. La mansuetudine è mitezza, forza controllata, che include la capacità di sopportare rimproveri e sgarbi senza risentirsi. La gentilezza è un’attività che dimostra bontà e cortesia per gli altri, trattando le persone in una maniera gentile che indica premura e interesse nei loro confronti. Infatti, l’apostolo Paolo scrive: “Fratelli, se uno è sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine [o gentilezza]” (Galati 6:1). La versione CEI dice “correggetelo con dolcezza”. Una guida “dolce” si preoccupa per gli altri, cercando attivamente di farli sentire a loro agio o rilassati alla nostra presenza, trattandoli come vorremmo essere trattati, con amore, rispetto e dolcezza.
Ricordiamo sempre che le parole possono ferire gli altri, umiliarli o scoraggiarli oppure aiutarli, incoraggiarli e influenzarli per il bene. Dipende dall’uso. Si manifesta soprattutto attraverso le parole e modi sensibili, mai bruschi e istintivi. Ben lo sapeva il Sapiente: “La risposta dolce calma la collera, ma la parola pungente eccita l’ira” (Proverbi 15:1); “Con la pazienza si persuade un principe, e la lingua dolce spezza le ossa” (Proverbi 25:15). Anche quando bisogna correggere o disciplinare, lo si può fare in maniera amorevole e incoraggiante. La gentilezza è rispettosa, cortese, premurosa, fa sentire le persone amate e curate, perché dimostra rispetto per la dignità personale degli altri, senza mai travalicare o imporre alcunché. Paolo ricordava al giovane discepolo: “Ora un servo del Signore non deve contendere, ma deve essere mite verso tutti, atto ad insegnare e paziente, ammaestrando con mansuetudine (gentilezza) gli oppositori, nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi perché giungano a riconoscere la verità” (2 Timoteo 2:24–25). Anche quando si è minacciati, la gentilezza cerca di istruire con dolcezza, chiedendo a Dio di dissolvere l’opposizione. Non disonora né umilia gli altri, né spettegola. Se qualcuno necessita di guida o di correzione, cercherà di farlo in maniera gentile. Quanto abbiamo bisogno di questo frutto…, e lo Spirito lo dona. Chiediamolo!
Sii gentile. Abbi il coraggio di compiere un piccolo gesto capace di migliorare la vita altrui. E se vedrai sbocciare un sorriso, continua a farlo anche domani.
Comments