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  • Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Una Parola predicata col fuoco

Aggiornamento: 29 mar 2023

Ricordi l’ultima predicazione che hai ascoltato? Sei stato in quell’occasione destinatario di un messaggio che ha lasciato il segno e/o ha incontrato le aspettative con le quali ti eri recato in chiesa?

Chissà quante volte invece avrai ascoltato un messaggio che ti ha lasciato indifferente, del quale nel tuo cuore e nella tua mente non è rimasto nulla fuorché il testo biblico che avevi segnato. Sicuramente ci sono circostanze in cui la mente è altrove e neanche “i cori degli angeli e il fuoco dal cielo” riesce a cogliere la nostra attenzione, tanto siamo sepolti dalle ansie e preoccupazioni. Altre volte nonostante il desiderio e il bisogno di ricevere una parola che rechi sollievo e alimenti la nostra speranza si resta profondamente delusi. Chi scrive è in modo continuato e alternato diviso nei ruoli di chi parla e ascolta. In oltre trent’anni ho ascoltato migliaia di sermoni, prestato l’orecchio a conferenzieri, insegnanti, conduttori di varie nazionalità, età e formazione, ma i messaggi che hanno recato una trasformazione, trasmesso un impulso irresistibile, schiacciato la mia vita saranno nel novero di qualche decina. Centinaia quelli che mi hanno edificato. Del resto poca o vuota memoria. Il tutto pur non rendendomi un esperto della materia, mi responsabilizza particolarmente perché comprendo le aspettative.

Non può bastare la conoscenza dell’arte oratoria o le più recenti tecniche di comunicazione per condividere un messaggio in grado di lasciare il segno. L’ho imparato presto, e nel tempo, anche per la mia estrazione pentecostale, ho riconosciuto che ciò che fa la differenza è l’azione dello Spirito, che non basta invocare se poi non Lo si lascia agire ponendosi in riverente ascolto. Sono consapevole che sarà difficile per altri ammetterlo. Ciononostante non ho disdegnato affrontare un percorso accademico e conservo gelosamente tra le mie passioni preferite quella di mettermi in discussione. Chi, come me, ha avuto modo di ministrare non avrà difficoltà a confessare che non è assolutamente difficile predicare in modo pieno di giustizia personale e autoreferenziale. Questo accade ogni volta che ci si presenta all’uditorio senza aver affrontato le proprie mancanze ed essersi lasciati ammantare dalla grazia divina. Quando apriamo la Bibbia e vi cerchiamo solo quello che vogliamo vedere, essa perde il potere di trasformare; la zittiamo con i nostri pensieri e le nostre umane convinzioni. Accade che quel che raccogliamo da essa piuttosto che seminare e piantare si trasforma in munizioni da sparare o sassi da scagliare. Il motivo per cui di alcuni messaggi non conserviamo alcuna memoria è perché non hanno avuto alcun impatto. Questo è quel genere di sermoni che possono essere dimenticati per sempre.


Differentemente è quando lo Spirito apre la Parola e il cuore dell’oratore che mansueto si pone al Suo ascolto, allora il messaggio sviluppato incoraggia ed edifica. Ciò diventa possibile quando chi ha la responsabilità della proclamazione si pone senza fretta dinanzi alle Scritture non in base a ciò che vede nella comunità o intorno a sé, ma s’arrende totalmente allo Spirito che si muove liberamente, e quindi come vuole. Il che vuol dire che occorre essere disposti e pronti ad andare anche contro quel che si pensa, ricercando esclusivamente quella divina voce dolce e sommessa. Riconosco anche che una delle grandi tentazioni del cristianesimo odierno è incontrare il soddisfacimento della gente proponendosi in maniera socio-ricreativa, preoccupandosi di comunicare un messaggio piacevole alle masse, che solletica le persone lasciando in loro un senso di gioia e facendo nascere empatia nei confronti dell’oratore, ma che poi non li bruci assolutamente. Eppure uno dei simboli per eccellenza dello Spirito è il fuoco, fuoco consumante, capace di penetrare fino alle radici del nostro essere. Senza il fuoco la predicazione rischia di ridursi a puro intrattenimento. E alla fine tutti lasciano il posto sorridenti e felici. Nessuno è disperato e chiede “Che devo fare?”. La Parola predicata con il fuoco dello Spirito oltrepassa ogni forma di confusione e/o spettacolarizzazione, è interessata alla condizione miserabile del peccatore, è alimentata dalla compassione di Dio, mira a guarire le ferite, a riabilitare e introdurre nella famiglia dei santi senza alcuna fidelizzazione personale.

Altre volte si corre il rischio di cadere nella tentazione di provocare emozioni o reazioni che non sono frutto dell’azione dello Spirito. È già fin troppo triste assistere a chi auspica cambiamenti e presunti “risvegli”, guardando alle “novità” bibliche, che quasi sempre arrivano d’oltreoceano e penetrano nel nostro paese attraverso qualche libro o buon sermone, con il risultato che se c’era qualcosa di buono, non vuol dire che tutto quello che seguirà ... sarà altrettanto buono! Non bisogna essere imprudenti, ma avere sempre e comunque l’atteggiamento dei bereani con la predicazione di Paolo: essi “controllavano” con la Scrittura, se le cose erano veritiere. Mittente e destinatario hanno oneri in comune, quali un costante rapporto con Dio (Romani 8:1-17) e con la Scrittura (Salmo 1:1-3). Senza questi, e quindi un atteggiamento di superficialità avrà come seguito uno stato di confusione e insoddisfazione. Occorre lavorare sulla propria carne, applicarsi affinché ogni giorno noi diminuiamo e Lui possa crescere, perché chi ama veramente è disposto anche a rinunciare al suo diritto, non avanza alcuna pretesa. Saranno poi i frutti a dare valore al nostro servizio, anche se i beneficiari non si esprimessero.

Perché questa riflessione? Per incoraggiare chi si sta cimentando nell’annuncio della Parola alla massima responsabilità e alla costante ricerca dell’unzione (azione dello Spirito nella propria vita), lasciandosi ispirare da chi si sforza costantemente di piacere al Signore. Per ricordare a chi è solo uditore a non ignorare l’umanità di chi gli sta di fronte e piuttosto a sostenerlo amorevolmente con la preghiera, e se possibile esprimendogli di tanto in tanto il proprio incoraggiamento. Per dire infine a me stesso che ho ancora molto da imparare, e quel poco che è nelle mie conoscenze sono tenuto a condividerlo.



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