Il 12 novembre 2022, ho avuto l’onore di intervenire come oratore al Raduno Pastorale del Movimento delle Chiese Evangeliche “Nuova Pentecoste”, tenutosi a Castellammare di Stabia (CE). Tema conduttore è stata l’invocazione “Vieni, Spirito Santo”. Dalle sollecitazioni ricevute dai partecipanti, ho inteso condividere con loro il testo della relazione ed offrirla come base di riflessione personale e comunitaria. Nello stesso tempo, è nato nel cuore il desiderio di allargare la platea dei destinatari, nella speranza e con la preghiera, che potesse essere un modo per stimolare un’attenzione più ampia sullo Spirito e dare vita a un dialogo senza barriere. Spero tu abbia per questo un po' di tempo da dedicarmi. Altrimenti aspetta un altro momento per proseguire la lettura.
Confesso di aver affrontato il tema con non poca difficoltà, trattandosi di anelito e desiderio che si rinnovano nel tempo, ma anche confessione di profondo bisogno e nello stesso tempo invocazione necessaria. Nel redigere questi appunti mi sono reso conto per l’ennesima volta che per avvicinarci allo Spirito occorre fare passi molto piccoli, e senza calzari, con profonda riverenza e senza la minima intenzione di provare a razionalizzarlo. Nello stesso tempo è necessario accantonare le proprie convinzioni di parte per non cadere nel detto di chi se la suona e se la canta a proprio piacimento.
Premetto che sono tra coloro che vogliono restare lontani dalla pur minima tentazione di spettacolarizzare ciò che appartiene allo Spirito, in preda al delirio dilagante di infiammare le comunità con strategie di fuoco “strano” per attirare folle interessate solamente alla novità o allo “show” per battere cassa. Perciò, ricevi queste parole unicamente come una riflessione a voce alta, che sgorga dal mio cuore e dalla mia mente per dialogare, nella speranza che qualcuno possa percepire in primis lo Spirito, al pari di Elia sul monte Oreb, ed altri alla conclusione possano invocare entusiasticamente Dio. Sia con l’uno che con gli altri, prego possa esserci un seguito comune.
In quanto pentecostale, dovrei avere una certa familiarità con l’ambito pneumatologico, ma, vi assicuro, nulla risulta più complesso del parlare dello Spirito e di quanto Gli concerne, e in questa sede non andiamo oltre degli spunti. Non intendo riferirmi unicamente ai pentecostali e/o carismatici, e prego che ogni lettore possa sentirsi destinatario della riflessione, oltre ogni appartenenza denominazionale. Lo Spirito è per tutti. Come ministro e credente riconosco che dovremmo ricercare sempre e solo di annunciare la Parola di Dio con franchezza, e sulla scia di Pietro e Giovanni dinanzi al Sinedrio pregare: «Ed ora, Signore, … concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola con ogni franchezza, stendendo la tua mano per guarire e perché si compiano segni e prodigi nel nome del tuo santo Figlio Gesù» (Atti 4:29-30). Puoi unirti a me, allora, e pregare prima di addentrarci.
Nel III secolo, un luminare della scuola di Alessandria, Origene, lamentava l’incertezza della dottrina ecclesiastica sullo Spirito. Dopo più di diciassette secoli, esimi teologi segnalavano a metà dello scorso secolo una dimenticanza della realtà e della potenza dello Spirito da parte della teologia cristiana, al punto che qualcuno ne parlava addirittura come il Figliastro, ponendolo in una forma di antitesi al Figlio nella divina Trinità.
Lo Spirito, grazie a Dio, ha continuato a muoversi a Suo piacimento e il “fenomeno” pentecostale sarebbe l’ultima reazione di massa a questa dimenticanza, perché in ogni secolo c’è sempre stato qualcuno che, languendo per la triste condizione della sua epoca, ha invocato un intervento divino, proprio come Asaf: «Facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. O Eterno, Dio degli eserciti, ristoraci; fa' risplendere il tuo volto e saremo salvati» (Salmi 80:18-19). Al di là dell’essere pentecostali o meno, comunque è chiaro che tutti i credenti sperimentano lo Spirito interiormente, proprio come scrive Paolo, ossia che “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato” (Romani 5:5).
Il Movimento Pentecostale (esploso ad inizio del 1900) ha il suo humus nella riscoperta dell’esperienza di Atti 2 in quanto tale. Non un evento della storia della nascente comunità cristiana, da ricordare o celebrare, ma un’esperienza individuale convalidante della realtà divina e della Sua presenza in ogni tempo. Ed io posso testimoniarlo. Probabilmente anche tu. Sono certo che non sono pochi quelli che ricordano con precisione la propria esperienza di Pentecoste, da distinguersi da tutte quelle forme esasperate che hanno costretto alcuni studiosi a definirle frutto di un’ “ossessione” dello Spirito. Vorrei che umilmente e senza veli ci domandassimo cosa sta accadendo in seno alla chiesa a distanza di oltre un secolo dai fatti di Azusa Street.
Archiviata la secolarizzazione e crollata la previsione della morte di Dio, i sociologi delle religioni stanno guardando con particolare acume al panorama pentecostale e ai nostri giorni parlano di una PENTECOSTALIZZAZIONE DEL CRISTIANESIMO in virtù della crescita costante ed esponenziale di quanti optano di vivere una fede carismatica. Da oltre trent’anni i dati statistici indicano un crescente calo di interesse della gente verso le funzioni ecclesiastiche non trovando in esse alcuna attinenza con i loro problemi spirituali. Ecco perché si giunge ad affermare che la Pentecoste è snodo obbligatorio. L’esperienza dello Spirito è ormai per il singolo credente e per la chiesa tutta l’unica risposta plausibile e risolutiva oggi più che mai.
L’esperienza fisica di seguire Gesù era stata circoscritta ai tre anni del suo ministero, durante i quali i dodici erano stati quasi sempre spettatori, e qualche volta collaboratori, fallendo puntualmente quando si sono trovati ad essere gli attori principali sulla scena (il ragazzo epilettico, la tempesta sul lago). La partenza del Signore poteva quindi rappresentare il sepolcro di quella che non era ancora la chiesa che conosciamo nel post Pentecoste. Tra chi aveva avuto questo privilegio, penso a Pietro. Il suo esempio è il nostro, di chi non è ancora il “pascitore” del gregge divino. Durante il ministero di Gesù il pescatore Cefa è ben intenzionato, pronto all’azione e alla REAZIONE, ma anche scettico, duro a comprendere, e finanche “satana”. Quello che segue all’arresto nel Getsemani segna il momento del dubbio e della paura che lo spinge a rinnegare. La morte in croce e la stessa resurrezione un terreno pericoloso. Giovanni chiude il Vangelo con un Pietro remissivo e rinunciatario. Lo Spirito che Cristo aveva soffiato non era ancora arrivato. “Io non vi lascerò orfani” promise Gesù, aggiungendo che sarebbe tornato. Nel frattempo pregava il Padre affinché inviasse il Consolatore a restare sempre coi discepoli e a dimorare in loro (Giovanni 14:16-18). In altri momenti aveva assicurato “dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro…” (Matteo 18:20).
Poi arriva Pentecoste e tutto cambia. Da quando il Cristo è asceso al cielo, raccomandando di attendere l’adempimento della promessa in Gerusalemme (Atti 1:8), come credenti siamo entrati nel tempo dello Spirito. Con Atti 2 passiamo dall’attesa al tempo dello Spirito; secondo alcuni, il tempo della Chiesa, ma pur sempre “parousia” del Signore. “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell'età presente” (Matteo 28:20). Lo Spirito garantisce questa costante presenza.
Suggerisco, prima di proseguire, che ciascuno si interroghi e investighi se ORA sente quel bisogno di Dio? Quella fame e quella sete di Lui alla base di ogni “pari consentimento”? Temo di dover prendere in seria considerazione che le mani di alcuni hanno lasciato l’aratro o sono tornate alle reti da pesca, come Pietro e gli altri. Paolo ben doveva conoscere i momenti di sbandamento per incitare: “Siate ripieni di Spirito” (Efesi 5:18). Fraternamente mi sia concesso di esortare: “Non ubriacatevi, ma siate ripieni di Spirito”. C’è vino e c’è lo Spirito! Purtroppo siamo circondati da una pletora di UBRIACHI di vin dolce che alimentano la confusione e diffondono stordimento. Quante storie potremmo probabilmente raccontare ognuno per un catalogo non ancora completo: dai rotolamenti alle risate, passando per i dolori del parto e finanche i versi animali, solo per citarne alcune. Lasciamo così il vino agli ubriachi, e andiamo al pozzo di Samaria per attualizzare alla nostra riflessione alcune delle espressione che Gesù pronuncia nel colloquio con la donna samaritana (Giovanni 4:21-24).
Gesù le disse: «Donna, credimi: l'ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo; perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Né su questo monte, né a Gerusalemme.
Lo Spirito non ha mai conosciuto limitazioni territoriali o barriere denominazionali. È UNIVERSALE nell’agire ed ecumenico nel diffondersi. Con “ecumenico” faccio riferimento alla “oikumene”, e quindi intendo “tutta l’umanità”. Ogni forma di settarismo, di pregiudizievole preclusione, combatte, CONTRASTA l’opera dello Spirito e Lo CONTRISTA (Efesi 4:30). Egli resta, nonostante noi, colui che “distribuisce… come vuole” (1 Corinzi 12:11).
Noi adoriamo quel che conosciamo.
Vorrei sbagliarmi, ma ai pentecostali sembra interessare più prendersi cura della vita spirituale e lo zelo missionario piuttosto che l’unità tra i credenti, nonostante la nota preghiera sacerdotale del Maestro. Se a livello mondiale, forse perché favoriti dalla distanza (lontani dagli occhi lontani dal cuore) c’è – almeno così appare – una sorprendente unità, a livello locale la collaborazione e il riconoscimento reciproco risulta scarso, anche per comprensibili ragioni inerenti casi di ribellione e divisione, piaghe incredibilmente sempre vive e aperte. Ci sono sempre paletti da piantare. Ma anche muri da abbattere e ponti da costruire. Ben vengano i distinguo per difendere i principi della fede cristiana, ma nel rispetto reciproco conosciamo e lasciamoci arricchire dalla diversità.
L’ora viene, anzi è già venuta.
Siamo irresponsabilmente proiettati a quel che deve accadere, come chi non è mai contento del proprio stato e spera che il domani sia portatore di un futuro migliore. Cincischiamo nella noiosa attesa dell’adempimento di una Parola che leggiamo (forse) troppo escatologicamente, rendendo irrimediabilmente il presente un passato con lo sguardo al domani che mai giunge. L’ora è già venuta! Anche lo Spirito! Che è qui, dentro di noi, in mezzo a noi. Forse dovremmo limitare i progetti e fortificare quello fin qui costruito. Abbiamo profeti, realmente mossi e ispirati dallo Spirito, che disvelano il presente.
Per finire, Dio è Spirito.
Giovanni propone senza esitazione la più alta delle rivelazioni relative a Dio. Lo Spirito è Dio! Wow! Eppure facciamo fatica a relazionarci con Lui come tale. Palesiamo una certa difficoltà nel riconoscerLo tra noi. Preferiamo dire che il Signore è in mezzo a noi, ma raramente lo presentiamo e consideriamo come Persona della Trinità. Inconsciamente, anche se non Lo è, lo trattiamo come un “Dio minore”. Come il vaso non può disquisire con il Vasaio sulla forma che gli intende dare, così nessuno può gestire lo Spirito a proprio piacimento. Inoltre, in quanto Dio, lo Spirito non compirà alcuna azione contraria alla dignità dell’individuo. Il Suo agire non priverà mai l’uomo della sua razionalità facendogli perdere coscienza e consapevolezza di quel che sta accadendo.
Una considerazione di ordine filologico sul termine Spirito.
Sono due i principali termini che identificano lo Spirito nelle Scritture: l’ebraico ruach (all’incirca 380 volte nell’Antico Testamento) e il greco pneuma (379 nel Nuovo Testamento). Genesi apre le Scritture presentandoLo subito, dal principio, come vita e movimento, quel soffio (vento) che non puoi afferrare, ma puoi sentire e vedere i segni del Suo passaggio. L’opera dello Spirito è spontanea, non generata o provocata da alcuno, non è il risultato di una strategia pianificata. Nel Primo Testamento lo Spirito del Signore non è ancora concepito come persona, bensì come forza, come una realtà “spirituale” appunto. Sarà il Nuovo Testamento a configurare la persona e la personalità dello Spirito. Il termine greco “pneuma” – secondo il pastore Mario Affuso – indica la presenza di una persona con la quale occorre entrare in confidenza. La confidenza non dovrebbe mai diventare troppa, perché, come recita un detto popolare, si rischia di cadere in cattivi comportamenti.
Oggi incombe il pericolo di una depersonalizzazione dello Spirito/Dio proprio in ambito pentecostale, dove si continua a porre eccessiva enfasi sulle manifestazioni e si riferisce allo Spirito come all’energia elettrica, con tanto di interruttore ON/OFF. Pensare di poterlo attivare o disattivare a propria discrezione è atto di puro orgoglio, ma anche di incauta ignoranza. Parlare dello Spirito entro la prospettiva del pensiero cristiano vuol dire parlare di una persona, di un CHI e non di un COSA. Alcune espressioni, purtroppo, non lo favoriscono e confondono quali: l’unzione dello Spirito, la potenza dello Spirito, la gioia dello Spirito, la caparra dello Spirito, i doni/carismi dello Spirito, il frutto dello Spirito, ecc. Più che riconoscere allora l’Essere divino, sottolineiamo le Sue funzioni o manifestazioni, facendo sì che lo Spirito si riduce a una potenza, a una forza da sentire, avvertire. Tendiamo così a relazionarci con l’effetto della Sua presenza.
“Voi riceverete potenza quando lo Spirito verrà su di voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e fino all'estremità della terra” (Atti 1:8-9).
Siamo realmente disposti a fare esperienza dello Spirito? Il punto focale non è se lo Spirito viene, ma che è già venuto! E siccome è venuto, in cosa stiamo investendo la “dunamis”? Il segno riconoscibile è la potenza che rende testimoni, ossia la capacità di parlare con franchezza (parrhesia). Noi l’abbiamo ricevuta! Il frutto è la testimonianza. Lo Spirito è precursore della Parola! Lo Spirito prepara alla Parola! Egli guida e aiuta chi deve parlare. Egli dispone chi deve ascoltare. Il soggetto di questa storia è, sempre e soltanto, lo Spirito santo, il cui fine ultimo è l’annuncio della salvezza di Dio alle genti (Atti 28:28; cf Isaia 49:6). È questa da sempre la forza distintiva del pentecostalesimo, il segreto della sua diffusione: la TESTIMONIANZA. Di casa in casa, di strada in strada. L’opera della Chiesa non può prescindere dallo Spirito. Se lo Spirito VIENE, riceviamo POTENZA e siamo TESTIMONI, riconoscibili e credibili. Per scomodare il profeta Ezechiele, le ossa secche ritornano a vivere.
Ciò che il Nuovo Testamento mette sotto i nostri occhi non è la cronaca di ciò che sarebbe accaduto in una, ormai lontana, generazione, ma è il PROGETTO DIVINO di cosa dovrebbe accadere in ogni generazione. Oggi e domani come allora.
Un fugace sguardo al libro di Atti dopo la Pentecoste del capitolo 2 e i fatti di Gerusalemme, consente di ribadire che l’evento non era unico e irripetibile. Anzi.
8:15, a Samaria, dove vengono inviati Pietro e Giovanni dopo la predicazione di Filippo;
11:15, in casa di Cornelio, dieci anni dopo, Pietro;
19:2, Paolo ad Efeso, venti anni dopo, chiede: “Avete ricevuto lo Spirito?”.
Tutti dovrebbero riceverlo! Proprio come preannunciato dal profeta Gioele, “ogni carne”, dai giovani ai vecchi e senza limiti geografici: “in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e fino all'estremità della terra”. Per quanti conoscono le chiese Nuova Pentecoste, la visione del ministero è racchiusa nel motto del suo fondatore che traspone le parole di Atti alla nostra realtà geografica: “Dall’Italia per l’Italia, l’Europa e il mondo”.
Una caratteristica del dopo Pentecoste.
Non c’erano chiese (comunità/edifici), ma di casa in casa la testimonianza si diffondeva. Quando all’inizio del ‘900, un “revival” ha cominciato a divampare in diversi paesi e nazioni, coloro che ne fanno esperienza non hanno alcuna intenzione di fondare una nuova chiesa. Tutt’altro. Si troveranno costretti quando non accettati dalle loro comunità di origine. E non mancheranno i dissidi successivamente. Resta il fatto che l’azione dello Spirito non mira a costituire nuove chiese, anche se è singolare il dato che nessun risveglio sia passato pacificamente. E non mi riferisco all’opposizione esterna concretizzatasi da subito con la persecuzione, ma a tutto ciò che ne consegue ogni volta e che porta a dissidi interni prima e quasi sempre a divisioni dopo.
Anche Pietro dopo essere stato in casa di Cornelio, sfidato dallo Spirito ad andare oltre i suoi pregiudizi legalistici, deve giustificarsi con i fratelli a Gerusalemme che “contendevano con lui” (Atti 11:2). La sua difesa sarà: “Fui rapito in estasi... Lo Spirito mi ha detto… chi ero io da potermi opporre a Dio?”. E furono queste parole a risolvere il nascente problema comunitario. Davanti allo Spirito gli uomini tacciono, e “udite queste cose, essi si calmarono e glorificavano Dio” (Atti 11:18). Ecco perché non possiamo e non dovremmo resistergli. David du Plessis parla a riguardo di costrizione dello Spirito. La chiesa di allora riconosceva allo Spirito il diritto di precedenza, come accadrà ad Antiochia e dovunque. Oggi quanti possono dire o raccontare: “LO SPIRITO MI HA COSTRETTO”? Forse, anziché “Vieni”, la nostra invocazione dovrebbe essere “COSTRINGIMI”. Occorre maggiore coraggio, intriso da un’umile consapevolezza della propria condizione umana. Personalmente ritengo che da un po' è tempo che io diminuisca e Lui cresca.
Probabilmente il tema necessiterebbe di uno spazio di approfondimento esclusivo per la PREGHIERA che precede questi momenti. Lascio però a ciascun interlocutore di fermarsi e riflettere per conto proprio, avendo qui già molto sottomano. Dal canto mio, mi limito a sottolineare che associare l’agire dello Spirito unicamente alla preghiera, di un singolo o di una comunità, è alquanto riduttivo. La preghiera serve a noi ad affinare i nostri sensi spirituali, per discernere se è a Dio o meno, per comprendere la scelta migliore da compiere. Ma qui temo che ci perderemo…
Qualche sottolineatura prima di concludere.
Ogni costrizione dello Spirito potrà andare sì oltre il nostro modo di pensare, ma non contro le Scritture. Dio non contraddice se stesso. Ricordiamo che Pietro andò da Cornelio portando l’Evangelo e la salvezza secondo i piani di Dio, mentre Paolo consegnerà Imeneo e Alessandro al diavolo dopo che questi “hanno fatto naufragio nella fede”, finendo addirittura a bestemmiare (1 Timoteo 1:19-20). Non tutto è tollerabile.
La teologia dello Spirito è certamente teologia della presenza divina. Una presenza SANTA, come indicato dall’aggettivo che quasi sempre lo accompagna. Lo Spirito è qualificato come santo perché santifica la nostra vita. “Chi è santo continui a santificarsi”, esorta l’Apocalisse (22:11) nelle battute terminali, in proiezione della fine di questo tempo. Una presenza di LIBERTÀ: “Or il Signore è lo Spirito, e dov'è lo Spirito del Signore, vi è libertà” (2 Corinzi 3:17). Si tratta di una libertà interiore, morale ed etica insieme; quella che nota come libertà dalla schiavitù del peccato ha restituito a ciascuno di noi un’autonomia spirituale fonte di ogni altra libertà. “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto non usate questa libertà per dare un'occasione alla carne, ma servite gli uni gli altri per mezzo dell'amore” (Galati 5:13). La libertà a cui siamo chiamati è regolamentata dalla Legge dello Spirito, “perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Romani 8:2).
Non vi è libertà dove la Legge è assente. La Legge dello Spirito guida il credente serio ed oculato nei sentieri della Parola, non in un clima di mistero e/o misticismo, ma di rivelazione e di disvelamento, aiutandolo a porre la propria vita nella sequela del Cristo, nelle Sue orme e mai al Suo posto. Nessuno arroghi a sé la proprietà o il controllo dello Spirito. Se alle origini del risveglio pentecostale espressioni come “Io ho lo Spirito” erano tollerabili per la poca cultura, oggi non più. Non saremo mai noi a possedere lo Spirito, ma desideriamo che lo Spirito abbia il pieno controllo delle nostre vite.
Questa riflessione probabilmente meritava maggiore spazio, ma ho ritenuto di non prolungarla oltre. Sono consapevole che si tratta solo di un semplice esordio di un modesto oratore a un discorso sullo Spirito tutt’altro che chiuso e noi abbiamo il dovere di tenerlo vivo e aperto. Per questo auspico che dopo questa riflessione possiamo a lungo esercitarci a familiarizzare con lo Spirito. Spero che qualcuno sia comunque nel segreto del cuore riconoscente a Dio, perché ciononostante attraverso questo testo lo Spirito ha rivelato la Sua presenza, creando qua e là il miracolo della fede. Chiudo questa condivisione con un monito del professore Vittorio Subilia (1966): “Ogni qualvolta la Chiesa fa dello Spirito di Dio un profugo, è lei – la Chiesa – non lo Spirito, a diventare vagabonda”.
Il quadro della spiritualità generale non è dei più rosei nonostante il numero crescente dei “pentecostali”. Ci sarebbe da preoccuparsi per quanto la situazione risulti grave per i contorni di una fede sempre più pretendente e appariscente e poco propensa ad attraversare il deserto per essere ripiena dello Spirito (Luca 4:1). Ricordiamoci però che questo stato di cose non può essere risolto con soluzioni umane (ed io non ne ho!), ma il padrone del campo interverrà sempre al tempo opportuno. L’opera è Sua! Per quanto riguarda il discorso sullo Spirito, ciò che mi rende fiducioso e mi consente di dormire sereno è questa meravigliosa verità così descritta: “Lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell’invisibile e del trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa” (Carlo Maria Martini, Parola alla chiesa-Parola alla città, Bologna 2002).
Noi adoperiamoci ad avere parte con Lui e saremo vincitori!
Se sei giunto alla conclusione, ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato. Ribadisco ancora che ogni tema appena sfiorato meriterebbe una propria riflessione approfondita, ad esempio cominciando dalla questione trinitaria e della personalità dello Spirito per finire al “battesimo” e ai carismi. Confido che si tratti di un inizio condivisibile. Sarò comunque felice di ricevere qualche tua considerazione o sollecitazione. Se dovesse nascere in te il desiderio di approfondire e di confrontarti, vorrà dire che lo Spirito è all’opera davanti e sopra di noi, preparando un nuovo cammino comune.
Mentre attendo fiducioso tue notizie, ti saluto fraternamente in Cristo, invocando lo Spirito sulla tua vita, sulla tua famiglia e sull’opera di appartenenza, unitamente alla benedizione divina.
Dio ti benedica.
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L’audio dell’intervento al raduno è disponibile qui
Alcune mie pubblicazioni
Una tesi in esegesi neotestamentaria dedicata alla "parrhesía" di cui è pregno il libro degli Atti, caratteristica dei primi discepoli inviati a testimoniare l'Evangelo. Punto di partenza per una riflessione sull'opera dello Spirito oltre il parlare in lingue.
Questo testo offre un percorso di formazione e approfondimento biblico con l’intento di sopperire al fabbisogno di crescita spirituale di credenti desiderosi di contribuire all’avanzamento del Regno di Dio e alla edificazione della Chiesa. All’interno un’ampia sezione dedicata all’agire dello Spirito.
Un manuale di introduzione sistematica alla dottrina cristiana, con un capitolo dedicato allo Spirito.
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